Oltre l’incoerenza – Gv 13,16-20
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
Cercare di essere cristiani (è sempre un “cercare di”!) presenta due aspetti, come facce della stessa medaglia.
Da un certo punto di vista, è importante imparare a tranquillizzarsi, perché il mondo è già stato salvato. Il “grosso” della faccenda l’ha già compiuto quel Nazareno. “Un servo non è più grande del suo padrone”: il vangelo non ci chiama a fare ossessivamente il “meglio”, ma il “bene”. Non siamo chiamati a salvarlo nuovamente, ma a fare riverberare l’annuncio della risurrezione, in qualunque lingua richieda di essere diffuso.
Incontro spesso cristiani convinti e brave persone che soffrono parecchio (e purtroppo fanno soffrire anche le persone a loro vicino) perché sentono una responsabilità schiacciante e disumana sulle loro spalle, per la quale quello che fanno “non è mai abbastanza”. Dio ci chiede di “perdere” la vita per gli altri nel suo nome, non di “rovinarcela”. Credo ci sia una (mica tanto) sottile differenza.
Seconda faccia: all’interno di questo cammino di azione e di comprensione è possibile l’incoerenza. E’ possibile, cioè, tradire i valori in cui crediamo di credere, attraverso piccole o grandi azioni. Non solo: c’è il rischio scandalizzare gli altri, cioè dare una controtestimonianza.
Non è un Dio ingenuo, il nostro. Sa bene che siamo fragili, bravi a parole ma lenti di cuore, sempre ostici alla conversione. Per questo ci invita a non stancarci di “accogliere”, incessantemente, i messaggi, le relazioni, gli incontri… in cui lui stesso, continuamente, parla.
Oltre le incoerenze, oltre la strutturale contraddizione della nostra vita, c’è infatti un amore che non abbandona, un motore che non si spegne, nonostante tutti gli ingolfamenti. Dehon la chiamava “confidenza”, cioè la virtù di continuare a credere che Dio ha fiducia in noi, nonostante tutto, e ci rialza senza stancarsi.
Accogliere e interpretare la vita come la continua conferma di questo amore irreversibile: questa è la vera sfida.