La leggerezza del seme – Gv 15,26-16,4
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto».
Nel vangelo di oggi, Gesù non spiega per bene quale sarà l’effetto del Paraclito. Dice solo che “darà testimonianza di me”. Non protegge, non impedisce le disgrazie, non dà forza sovrumana o superpoteri: semplicemente, come leggevamo ieri, lo Spirito “sta-insieme”, sta vicino a ciascuno di noi.
Mi piace pensare che il suo effetto sia di cambiare la nostra visione delle cose, di convertirci perché, al di là delle croci, scorgiamo la vita nuova. In fondo, è un principio evangelico: Gesù non evita la propria croce, ma la trasforma.
Già gli antichi ebrei avevano vissuto le loro varie deportazioni in Persia o a Babilonia come delle “diaspore”, cioè “semine”. Oltre all’angoscia dell’esilio, cioè, si sono lasciati convertire dalla voce di Dio nella storia e hanno compreso che anche lì si nascondeva un’opportunità: si sono visti come dei semi sparsi per il mondo, per dare frutti di carità e di umanità.
Così i primi cristiani, “scacciati dalle sinagoghe”, hanno iniziato a celebrare nelle case: hanno colto l’occasione, oltre lo smarrimento, per trovare una nuova strada per il culto e per esprimere la loro fede in comunità.
Oggi noi ricominciamo, con graduale e prudente serenità, a uscire di casa. Ma non scordiamoci del periodo di rigido lockdown in cui siamo rimasti chiusi in casa (che poi è sempre dietro l’angolo…). Non si è trattato solo di una “brutta parentesi”, ma anche di un momento, per quanto terribile, per sostare sulla nostra vita, sulla nostra fede, su ciò che davvero conta.
“Scacciati via” dalle chiese a causa del pericolo di contagio, siamo sicuri di aver ascoltato l’appello di Dio all’interno di questo tempo? Abbiamo goduto della “leggerezza del seme”?
Forse, se facciamo lo sforzo di aguzzare le orecchie, potremmo rientrare nelle nostre chiese con uno spirito più consapevole, più grato, ma non per questo più ingenuo. A maggior ragione se pensiamo che ci aspetteranno ancora varie fatiche, a livello sociale, economico, lavorativo…
Se sappiamo stare “fuori”, sarà una festa più bella stare “dentro”.