Ho bisogno, dunque sono – Mt 11,25-27
In quel tempo, Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
La categoria dei «piccoli» di cui oggi parla Gesù riguardava quattro tipi di persone, nella società antica ebraica: bambini, malati, peccatori, non credenti. Non si tratta semplicemente di tipologie di persone che venivano considerate poco a livello comunitario, ma voleva indicare chi non poteva farcela da solo, perché aveva bisogno degli altri: i bambini di qualcuno che li accudisse, i malati di qualcuno che li curasse, i peccatori di qualcuno che li perdonasse, i non credenti di qualcuno che li convertisse.
Il «Padre, Signore del cielo e della terra» ha «rivelato» la buona notizia del suo amore liberante a questi piccoli, cioè a chi ha bisogno, a chi “non ce la fa”. E chi ce la fa? Chi è forte e autonomo e indipendente? A lui il messaggio del vangelo suona un po’ come superfluo: che bisogno ha di essere liberato chi pensa di essere già libero?
Proprio questo è il senso paradossale della comunicazione evangelica: soltanto chi si riconosce fuorilegge, ferito, «mezzo morto in mezzo alla strada», incapace, può ascoltare la parola di Gesù come rivolta a se stesso.
Messaggio difficile, soprattutto oggi, dove si costruisce volentieri una bizzarra equazione per cui se hai bisogno di qualcuno/qualcosa, allora sei debole. Tant’è che una persona forte è una persona che “non ha bisogno di nessuno”.
Questa, per il vangelo, è una persona triste. Allora il cammino che ci si apre davanti è un cammino di scoperta e di accettazione, prima di tutto: siamo chiamati a cogliere la nostra povertà.
Non tanto per crogiolarci in essa, ma per comprendere per quali strade il Signore si fa vicino a noi. E’ la strada della piccolezza, quella più silenziosa e sorprendente.