Aria da gente salvata – 23 set 2020
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni. (Lc 9,1-6)
Brani come questo mi interrogano molto. Di più: mi feriscono con la loro schiettezza. Non si tratta semplicemente del messaggio della sobrietà e della leggerezza, ma del fatto che queste sono accompagnate (o, meglio, fungono da contorno per) l’annuncio della «buona notizia».
E papa Francesco fa eco: «Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia» (28 maggio 2017). Ma siamo davvero portatori di buona notizia, cioè, letteralmente, di «vangelo»?
Le nostre assemblee, le nostre celebrazioni, le relazioni tra di noi, la collaborazione e la passione che mettiamo nei nostri piccoli o grandi servizi… raccontano di un seme di speranza? Echeggiano qualche nota della salvezza? Forse, immersi come siamo – e come è giusto – in una miriade di piccole o grandi preoccupazioni, ci scordiamo della cosa fondamentale.
«Bisognerebbe che i cristiani mi cantassero dei canti migliori, perché io imparassi a credere al loro Salvatore! Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero piú aria da gente salvata!», così si esprimeva Nietzsche, verso fine ‘800.
A me dà molto a cui pensare. Non so se ho l’aria di una persona salvata oppure porto per lo più segni di stanchezza, di insoddisfazione e di malumore. Non so se le nostre comunità cristiane sono simbolo di lamentele sterili sui tempi attuali oppure megafoni per il messaggio invincibile che l’amore ha salvato, salva ancora e salverà sempre.
Serve leggerezza per coltivare e custodire la «buona notizia» nella nostra vita. Siamo gente salvata che, senza niente, porta il suo Dio nel cuore. Ricordarlo, forse, renderebbe la vita più leggera.