Luce che salva

Luce che salva

Con l’arrivo dei primi vaccini e la loro somministrazione già iniziata nel Regno Unito, qualcuno inizia a ipotizzare che la luce in fondo al tunnel stia arrivando. Certo si tratta solo di una classica espressione per esprimere l’idea che finalmente stia arrivando la soluzione di un problema, ma dietro a queste parole c’è sempre la convinzione di fondo che alla soluzione di un qualche problema corrisponda l’arrivo di una realtà stabile di cambiamento e felicità duratura. La luce, appunto, quella luce di cui tutti abbiamo bisogno per vedere con chiarezza e per sviluppare al meglio la nostra vita. A ogni progresso tecnico, ad esempio, associamo l’idea della luce; a ogni successo personale si è soliti far corrispondere una qualche espressione che appartenga all’area semantica del luminoso.  Tutto ciò che ha a che fare con la ricchezza e la bellezza ci sembra che si sposi sempre con una qualche manifestazione della luce.

Pensiamo che i nostri sforzi siano generatori di una luce capace di produrre cambiamenti stabili che rendano un po’ alla volta la nostra vita migliore: in parte tutto questo è vero, ma perché la luce che pensiamo di produrre non ci rende più felici e non riesce a farci vedere il destino di questo nostro mondo e di questa nostra società in una prospettiva realmente differente e migliore?

Come mai, appena ci sembra di aver risolto il problema decisivo che potrebbe permettere alla nostra vita di svoltare, ci scopriamo molto simili a prima?

Il rischio è che accada anche questa volta: risolto il problema del Covid-19 ci illudiamo di poter tornare alla bella vita di prima, ma era davvero così bella e soddisfacente?

Il tema di fondo è che ogni volta che pensiamo di brillare di luce propria ci rendiamo mestamente conto che si tratta di un riflesso ingannevole e di breve durata. Molto di quello che ci sembra essere decisivo, per fare una salto di qualità nella vita, ha effetti parziali e lascia spesso l’amaro in bocca dopo averlo gustato per un po’ di tempo, soprattutto quando accompagnato da una carica di aspettative esagerate tanto da diventare irrealistiche.

Pensare che il liberarci da una pandemia, attraverso il lavoro e l’ingegno di qualcuno, possa essere la condizione senza la quale sia impossibile vivere una vita davvero piena e appagante, rischia di mettere in moto un pericoloso meccanismo di ombre e riflessi piuttosto che fare davvero luce sulle nostre esistenze.

L’uomo è una macchina desiderante e il saper scegliere tra i desideri a cui affidare il cammino della vita è operazione molto complicata e inesauribile. Il desiderio è il motore della vita se non viene pericolosamente abbandonato a se stesso e trasformato nella ipotetica sorgente di luce a cui aspiriamo.

Desiderare che questa situazione finisca è fondamentale ma solo se accompagnato alla domanda sul tipo di vita che vogliamo davvero realizzare tornando alla cosiddetta normalità.

Quando finiamo per confondere il nostro desiderio con la sorgente della luce a cui aspiriamo, facciamo solo confusione e inganniamo noi stessi.

Giovanni Battista, nel brano di domenica prossima (Gv 1,6-8.19-28), ha come punto fermo della propria predicazione la consapevolezza di non essere lui la luce a cui gli uomini e le donne del suo tempo aspirano.

Con grande umiltà – capacità concreta di fare i conti con la propria realtà – dichiara di essere soltanto voce, annuncio di qualcuno che sta per portare un discorso nuovo, una parola definitiva sul tema del senso e della piena realizzazione umana. Giovanni parte da qui, dalla capacità di riconoscersi esattamente per quello che è: un uomo che non può avere in sé la luce, ma che può lasciarla filtrare in modo che si diffonda il più possibile.

La chiarezza della risposta alle domande insistenti circa la sua identità, sta nel definire il suo ruolo senza inganni: lui non può essere generatore di luce, perché nessun uomo può esserlo davvero, per quanto possa essere portatore di soluzioni geniali, ancorché comunque sempre parziali.

Se non facciamo davvero i conti con questo meccanismo finiamo per trasformare anche le migliori soluzioni in possibili pietre di inciampo e non in appigli sicuri lungo i cammini delle nostre esistenze.

Quando crediamo che la luce sulla nostra vita provenga da un qualche desiderio appagato o dalla convinzione che le vite degli altri possano bastare ad appagare completamente la nostra, ci mettiamo nella condizione di colui che si accontenta di una candela senza attendere più la luce del mattino.

Se invece diventiamo consapevoli di quello che il Battista continuamente ci ripete, e cioè che possiamo essere tramite, addirittura trasparenza, di una luce che non ci appartiene ma che chiede di passare anche attraverso di noi per potersi rifrangere al meglio e raggiungere ogni angolo della terra, allora diventiamo strumento potente di energia buona e creatrice.

È un po’ come la storia dei buchi neri: quando pensiamo di essere noi la luce, finiamo per diventare, in realtà, antimateria refrattaria alla vita.

Se riconosciamo che la luce per donare vita non può essere bloccata ma deve essere trasformata, prima ancora semplicemente accolta, entriamo nella logica di quella che viene definita da Giovanni testimonianza.

Ciascuno di noi viene invitato a essere testimone di luce, cioè portatore di qualcosa che riceviamo gratuitamente e che gratuitamente possiamo trasmettere a nostra volta: la dinamica della testimonianza chiede impegno, perché chiede sempre fantasia nel modo di fare filtrare la luce, ma genera anche grande libertà verso false aspettative e la necessità di crearsi continuamente il falso idolo di se stessi.

Un volto illuminato nel modo giusto e che lascia trasparire i suoi veri lineamenti e la bellezza del tratto che caratterizza il meglio dell’umano, è un volto che si lascia accarezzare dai raggi del sole e che non sfrutta gli artifici della tecnica per creare una bellezza passeggera, comunque destinata a svanire: anche il volto di un anziano ammalato ai raggi del sole ritrova i tratti della vita.

Se un vaccino dovesse guarirci, non potrà comunque salvarci se lo scambieremo per la luce: la salvezza, quella che dà forma piena al meglio del nostro essere umani, viene soltanto da chi ci vuole rendere luminosi e divini come lui.

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