Taci
Purtroppo in questi giorni si susseguono drammatiche notizie di adolescenti che si tolgono la vita: chi per assecondare qualche criminale gioco online, chi per emulazione, chi per un disagio diventato insopportabile e acuito dalla lontananza da ogni normale forma di socialità, imposta dall’attuale situazione.
La ripresa della scuola è un’ancora di salvezza per molti, ma non può bastare, visto che, come per tante altre situazioni, i giorni che stiamo vivendo hanno portato a galla realtà già latenti in precedenza, verità scomode che spesso ci ostinavamo a non voler vedere. I nostri adolescenti stanno male, ma soprattutto non hanno nessuno a cui dirlo, nessuno abbastanza autorevole ai loro occhi a cui poter affidare il loro normale senso di inadeguatezza nei confronti della vita e le nuove forme di solitudine e malessere generate dalla gestione della crisi sanitaria. Non è accettabile ridurre questo dramma a effetto collaterale di una situazione globale che appena sarà risolta riporterà tutto alla normalità: il rapporto fiduciario tra adolescenti e adulti rischia di incrinarsi in maniera irreparabile, allargando un solco già tracciato molto tempo prima dell’inizio della pandemia.
I nostri ragazzi non si fidano più degli adulti: anche se conservano certo una qualche forma di affetto e stima nei confronti dei genitori e di qualche altra rara eccezione, proprio nel momento in cui dovrebbero iniziare ad allargare la propria prospettiva al mondo, si trovano costretti a rimanere chiusi tra le quattro mura domestiche. Quando poi, finalmente, possono tornare a uscire, l’elenco delle cose che non si possono fare supera di gran lunga quello delle loro stesse possibili rimostranze. Ma questa non è la cosa più grave: alle limitazioni ci si abitua velocemente. Ciò a cui non ci si abitua è la mancanza di attenzione vera, il vuoto rispetto a ogni forma di chiamata alla vita, rispetto a ogni possibile appello. Il mondo degli adulti sta diventando sempre più autoreferenziale e incapace di rivolgere attenzioni alle generazioni future.
Sempre più ripiegati sui problemi contingenti, che sono tanti e difficili da affrontare, viviamo tutti alla ricerca di una bolla che ci protegga, che protegga i nostri cari, senza renderci conto che questa bolla rischia di creare uno spazio sempre più povero di ossigeno.
Dove l’aria si fa viziata e pesante è facile che si reagisca per istinto di sopravvivenza, facendo uscire il male che ci portiamo dentro: i nostri adolescenti ci stanno gridando in faccia il male che li abita, ma di fronte si trovano spesso adulti muti che non sanno cosa dire e come rispondere.
Nel Vangelo di Marco che ascolteremo domenica prossima (Mc 1,21-28), Gesù non si lascia impressionare dallo spirito impuro che grida attraverso la bocca dell’uomo che si trova di fronte. Lo lascia parlare, gli dà il permesso di esprimere il proprio malessere e il proprio disagio di fronte alla sua presenza, ma a un tratto lo zittisce con la sua autorevolezza. Al male non va dato il permesso di argomentare perché trova sempre qualche giustificazione che potrebbe incantare qualcuno.
Gesù è autorevole perché c’è, è presente anche quando si trova di fronte un male che non può essere spiegato, ma che deve essere riconosciuto per essere eliminato. La sua autorevolezza deriva dal fatto che il suo insegnamento non cerca compromessi con il male: lui è veramente il santo di Dio, cioè colui che è destinato a separare il bene dal male e a rendere evidente a ogni uomo come sia possibile scegliere il bene. L’autorevolezza si guadagna sul campo, senza pubblicità, avendo il coraggio di starci senza pretendere alcun riconoscimento.
Per noi non è mai facile stare di fronte al male: spesso facciamo perfino fatica a riconoscerlo in noi stessi e quello degli altri ci spaventa o preferiamo evitarlo quando non lo capiamo.
Oggi, guardando molti dei nostri ragazzi, vediamo tanta sofferenza che non riusciamo a spiegare, ma ogni volta che preferiamo girarci dall’altra parte o crediamo di poter risolvere il tutto facendo finta di niente o appellandoci a qualche rapida disanima sociologica, perdiamo di autorevolezza e ci allontaniamo sempre di più da loro. Non è una questione di linguaggi, di interessi, di realtà da condividere: da sempre gli adolescenti hanno il loro linguaggio e le loro modalità espressive che non devono e non possono essere comprese dagli adulti. Agli adulti viene chiesto di esserci e basta, di fare quello che dovrebbero sentire come lo specifico di una vita matura: prendersi cura senza cercare compensazioni affettive.
Guardando a Gesù, al suo modo nuovo di stare di fronte alla vita, alla sua autorità, potremmo imparare che è possibile amare anche i ragazzi che ci gridano in faccia tutto il loro dolore e che ci buttano addosso il male che li abita, magari anche con il loro silenzio, richiamandoli alle loro responsabilità, accettando che spesso, per poter essere strumento di guarigione è necessario pronunciare parole dure, che fanno soffrire, che straziano, ma che alla lunga liberano e restituiscono credibilità alla relazione. La presenza rende credibili le parole, riesce a dare forma all’amore anche quando non sappiamo più come chiamarlo.
Mi sembra che molti dei nostri ragazzi aspettino qualcuno che non si spaventi di loro, qualcuno che abbia ancora voglia di sfidarli, di richiamarli a loro stessi, di invitarli ad uscire dal piccolo mondo di dolore e insoddisfazione che si stanno costruendo. Qualcuno che abbia il coraggio di stare davanti a loro con una parola forte: «Taci! Metti a tacere il male che ti porta alla distruzione e rispondi ancora una volta alla chiamata di chi ti vuole vivo davvero».
Un pensiero su “Taci”
Giovani che non credono più alle funzioni religiose seguite a tempo perso e distrattamente dagli adulti. Mai una preghiera o un tentativo in casa di “collegamento” con l’Eterno. E… il giovane, così, cosa può sperare di diverso da una vita senza vita?
La nostra e loro Salvezza sta nell’installare un rapporto intimo col Signore, nella “propria stanza” riflettendo sulla Scrittura. Meditandola, infatti, si comprendono anche i “problemi” umani che ci assillano.