Diritto alla disconnessione

Diritto alla disconnessione

Siamo soliti pensare alla Quaresima come a un tempo di sospensione, un tempo di attesa che ci prepara a qualcosa di importante che arriverà in futuro. Possiamo però vedere i quaranta giorni che la Chiesa ci mette davanti, prima della Pasqua, come un tempo per rientrare in noi stessi, prendere le giuste distanze dallo stanco ripetersi dei nostri impegni e recuperare il significato di tante, troppe cose che continuiamo a fare senza mai farci una domanda. Non è vero che in questa stagione così travagliata abbiamo recuperato la preziosità di un tempo vissuto in maniera più distesa dove possiamo godere della gratuità e di momenti da dedicare a noi stessi e al rapporto con Dio: l’ansia per la situazione, le complicazioni che nascono di fronte a ogni scelta, perfino la mutata struttura del lavoro e la fatica nel gestire le dinamiche sociali stanno appesantendo la nostra esistenza, togliendo ossigeno a ogni tentativo di ridare spazio alla dimensione spirituale del vivere.

In questi giorni il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che definisce il «diritto alla disconnessione» per il lavoratore in smart working: ci si è resi conto che lavorare attraverso gli strumenti tecnologici in rete permette di lavorare da casa, in alcuni casi spesso aumentando perfino la produttività, ma rischia di portare al cortocircuito tra tempo dedicato al lavoro e tempo libero da dedicare a tutto il resto. Un rischio concreto che può portare a un sostanziale peggioramento della qualità della vita, riducendo le persone a strumenti asserviti al ciclo continuo della produzione. Vivere il tempo come una realtà continua che non presenta stacchi o momenti di passaggio graduali (ma ben definiti) porta alla perdita della giusta considerazione di sé stessi e del proprio ruolo in questo mondo. Rischiamo di vivere come alienati, esseri incapaci di riconoscere le sfumature, ma perfino le grandi differenze tra le cose buone e quelle cattive che attraversano la nostra vita.

Il rischio che i giorni si susseguano senza differenze, appiattendo la capacità percettiva e la sensibilità spirituale di fronte alla possibilità di interpretare gli eventi e il corso della vita, è una realtà nei fatti, visto che molti giovani iniziano a lamentarsi di non sentire più la differenza tra la quotidianità e i giorni di festa, tra il tempo da dedicare alle attività formative e quello da dedicare alla dimensione ludica e ricreativa, altrettanto indispensabile per una crescita completa della personalità.

Ci siamo preoccupati delle chiusure che limitano la nostra libertà nello spazio, ma con troppa sufficienza stiamo rimandando la decisione di affrontare la sfida su come rimanere davvero liberi nel tempo.

Nel brevissimo racconto che l’Evangelista Marco ci offre sulle tentazioni di Gesù nel deserto (Mc 1,12-15) ci troviamo di fronte a un cambiamento radicale di luogo, in vista però della definizione di un tempo del tutto differente: Gesù è spinto dallo Spirito ad andare nel deserto, nel luogo meno ospitale che ci possa essere, per un tempo definito, un tempo differente da quello vissuto in precedenza, un tempo da dedicare alla verifica su di sé prima di iniziare la propria missione. La Quaresima di Gesù è davvero fatta di un tempo in cui lasciare che perfino il proprio essere Figlio sia messo in discussione da Satana, un tempo diverso in cui imparare a vivere con le bestie selvatiche e lasciarsi servire dagli angeli, un tempo in cui riconoscere ciò che può venire dal male e ciò che invece viene da Dio. Gesù ha bisogno di vivere questo tempo che lo abiliti alla missione, lo convinca delle sue intuizioni e lo proietti verso l’annuncio del Regno. Credo che Gesù abbia imparato proprio da qui, da questa esperienza nel deserto, a prendersi quegli stacchi che sentiva così necessari per dare sempre più forza alle sue parole e ai suoi gesti: le pause di preghiera solitaria, di ritiro personale, di digiuno e solitudine, gli servivano per ritornare alla dimensione propria del rapporto profondo con il Padre, a quel deserto dove poter fare davvero esperienza della radicalità di questo rapporto.

Per poter arrivare ad annunciare la pienezza di un tempo compiuto alla maniera di Dio, Gesù ha avuto bisogno di vivere la logica di un tempo sensato alla maniera degli uomini.

Per noi il tempo può diventare compiuto quando ci accorgiamo che in esso c’è un’occasione differente da quelle che abbiamo vissuto in precedenza. Per Dio il tempo è sempre compiuto perché lui è il motore di ogni occasione, ma per noi perdere il contatto con una lettura differenziata del tempo vuol dire rischiare di perdere di vista la possibilità della conversione, la possibilità di orientare la nostra vita in direzione delle occasioni che Dio non smette di concederci.

La Quaresima è un tempo benedetto da questa differenza, un tempo che, anche grazie alle privazioni del deserto, ci può aiutare a recuperare in profondità le radici della nostra umanità attraverso cui lasciare scorrere il nutrimento che viene da Dio.

Per i credenti, il diritto alla disconnessione è riconoscere il valore unico di ogni Quaresima.

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