Ambasciatori
Fin dall’antichità l’uccisione di un ambasciatore, nello svolgimento delle proprie funzioni, rappresenta un atto grave, il segno dell’inizio di una guerra che aspetta solo di essere dichiarata ufficialmente. Fortunatamente oggi non è più così… Ne siamo proprio sicuri?
L’Italia, dopo l’efferato omicidio del proprio ambasciatore, del carabiniere che lo accompagnava e del loro autista congolese, non dichiarerà guerra al Congo, evidentemente, ma non ce ne sarà bisogno, visto che in Congo la guerra c’è già da parecchi anni senza che nessuno se ne accorga. Purtroppo è così: la morte di qualcuno che sentiamo più vicino per nazionalità, cultura e ruolo ci ha aperto gli occhi su una situazione di guerra continua di cui nessuno parla, su cui spesso la maggior parte dei media, soprattutto in Italia, preferisce sorvolare ritenendola poco interessante, perché troppo lontana o perché difficile da spiegare.
In realtà penso che c’entri molto anche un sottofondo diffuso di cattiva coscienza che spesso, come singoli, riusciamo ad accantonare velocemente, dicendo a noi stessi che non possiamo fare nulla per cambiare la situazione e che, come società, stato e mondo occidentale, riusciamo a mettere da parte, altrettanto velocemente, con la scusa che ogni stato è autonomo e deve autodeterminarsi. Peccato che a questa barzelletta non creda più nessuno visto che poi le ingerenze da parte di entità del cosiddetto primo mondo, della Cina e della Russia, sono sempre così forti da risultare perfino imbarazzanti.
In molte parti del mondo la stessa scena: paesi e multinazionali che traggono i loro vantaggi speculando sulla vita di povera gente, spesso sballottata da capi e agitatori di popolo che per becero calcolo di potere sfruttano la religione, la povertà e l’ignoranza, a seconda della convenienza e del momento. Tutto già visto da molto tempo e in molti luoghi.
Quello che però mi colpisce davvero di questa tragica vicenda è pensare che il nostro ambasciatore sia stato ucciso mentre portava aiuti umanitari in una delle zone più rischiose del pianeta: diciamocelo onestamente, non siamo abituati a pensare che un ambasciatore si debba occupare di queste cose, se non all’interno di manifestazioni sicure, ben costruite e che diano lustro all’immagine del proprio paese di appartenenza. Leggendo poi diversi articoli sulla sua biografia, si scopre che si trattava di una persona felice, in un luogo di grandi tristezze e che aveva scelto di vivere il proprio lavoro come una missione, con una particolare vocazione umanitaria verso l’Africa e il Congo in particolare. Cosa c’entra tutto questo con il brano del Vangelo di Marco che ascolteremo domenica, il celebre racconto della Trasfigurazione al capitolo 9?
Gesù, prima di salire sul monte insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, ha appena annunciato per la prima volta con chiarezza la propria Passione, invitando tutti coloro che lo vogliono seguire a prendere la propria croce e mettersi dietro a lui. Per essere ancora più esplicito ha voluto ricordare alla folla che lo sta seguendo che chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma che, invece, tutti coloro che la metteranno a disposizione, perdendola a causa sua e del Vangelo, la salveranno. Un discorso davvero molto duro, che non fa sconti alle nostre mezze misure e ai nostri continui aggiustamenti.
Forse, proprio per la durezza del discorso precedente, Gesù prende con sé i tre discepoli, sempre presenti nei momenti fondamentali di manifestazione della sua identità, per fargli fare un’esperienza unica e straordinaria: un’esperienza che faccia intravedere che la vita non si arresta alla passione e alla morte, ma è destinata a manifestarsi in tutta la sua bellezza con la resurrezione, con il ritorno al Padre che aspetta, in Cristo, di poter dire a ogni figlio: «questi è il Figlio mio, l’amato». Certo, viene poi aggiunto quell’imperativo, ascoltatelo, che per un credente non è facoltativo. Se vogliamo indirizzare la nostra vita verso la resurrezione dobbiamo ascoltare Gesù solo e, allora, anche se a fatica, avremo la possibilità di vedere nella croce non solo quello che è, ma anche quello a cui spalanca le porte.
Il Vangelo ci ricorda che abbiamo bisogno di momenti di trasfigurazione, nella nostra vita e attorno a noi, per poter leggere il vero senso delle cose e delle situazioni: non possiamo fermarci alla spesso cruda realtà, senza leggerla attraverso il filtro di tutte quelle vicende liete della vita, della storia, che abbiamo attraversato, altrimenti rischieremmo di infilarci in un vortice di cattive interpretazioni dell’esistenza che finirebbe per portarci a trascinare la nostra vita come una croce.
Il suggerimento che ci viene da Gesù, che invita i tre a conservare nel cuore quello che hanno visto, è un suggerimento fondamentale per affrontare la vita: l’episodio che ci racconta il Vangelo, certo, ma anche tutti quei piccoli momenti in cui abbiamo capito e sentito che la nostra vita e quella dei fratelli sarebbe stata destinata a qualcosa di più grande che al semplice sopravvivere.
Noi abbiamo già davanti, al termine di questo cammino di Quaresima, la prospettiva della resurrezione pasquale e, a differenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo capire l’importanza di questa fondamentale custodia del cuore.
Per riuscire a rimanere nelle situazioni più difficili e complicate, perfino in quelle disperate, da dove potremmo partire per trovare forze e energie se non da qui: dal sorprendente ricordo delle nostre ascensioni sul monte?
Cosa avrà spinto il nostro ambasciatore a intraprendere una missione umanitaria in un luogo così rischioso, se non la capacità di vederlo con gli occhi trasfigurati di chi ha fatto esperienza che la realtà non può mai essere solo come sembra?
Mi piace pensare che la morte di questo fratello, indipendentemente dalle sue convinzioni religiose e politiche, possa essere per noi un invito a riconoscere le terribili situazioni di morte che ci circondano e che magari abitano anche in noi, senza però perdere di vista cosa potrebbero diventare se le sapessimo guardare attraverso la lente della Trasfigurazione. Ci sono morti che parlano immediatamente di vita: sono un invito a sporcarci le mani e a scendere dal monte per abitare in modo diverso la nostra realtà.
Un pensiero su “Ambasciatori”
Solo l’amore verso i fratelli congolesi più poveri può aver spinto il nostro ambasciatore a portare loro aiuti umanitari, a rischio della sua vita!
Ambasciatore non solo politico, ma ambasciatore di carità e d’amore!