Vedere per credere

Vedere per credere

In un anno persi 945mila posti, disoccupazione giovanile a quota 31,6%, gli inattivi sono il 37%. Così il sottotitolo a pagina 10 dell’Avvenire di mercoledì 7 aprile, mercoledì fra l’Ottava di Pasqua.

Commentando il brano del Vangelo di Giovanni che ascolteremo domenica, il celebre episodio dell’apparizione del Risorto ai suoi discepoli impauriti e il successivo incontro con Tommaso che aveva mancato il primo appuntamento (Gv 20,19-31), si è soliti fare riferimento al tema dell’incredulità e della fede in ciò che non si vede. Si pensa, in questo modo, di suscitare qualche interesse nell’uomo contemporaneo, sempre alla ricerca di segni e prove, desideroso di avere la possibilità di verificare quello che gli viene proposto. Si è soliti dire: «Vedi che è possibile toccare con mano la presenza di Gesù? Vedi che il Signore si lascia toccare? Guarda, il Vangelo ci dice che il Risorto porta la pace e che concede sempre più di una possibilità anche a chi manca un primo appuntamento». Siamo davvero sicuri che il Vangelo ci parli di questo? Pensiamo davvero che questa chiave di lettura possa suscitare un qualche interesse nell’uomo d’oggi, tanto più se giovane e alle prese con la quotidiana fatica del vivere, la mancanza di lavoro e soprattutto la mancanza di speranza?

Perdonatemi se oggi lavoro di fantasia: mi piace pensare a Tommaso come l’unico dei discepoli con un po’ di coraggio in un momento difficile, l’unico che va fuori alla ricerca di qualcosa, di un lavoro, magari, del cibo per sopravvivere, o alla ricerca di qualche informazione circa le dicerie sulla sparizione del corpo del proprio maestro. Insomma, l’unico che si dà da fare perché ha voglia di futuro e che al suo rientro si fida poco degli altri rimasti alle loro paure e alle loro suggestioni.

Certo, quelli rimasti a porte chiuse ricevono la visita del Risorto ma implicitamente anche il suo rimprovero: nonostante il dono dello Spirito sono ancora incompleti perché manca un fratello. Il Risorto dovrà tornare proprio per l’incapacità degli undici di essere davvero credibili agli occhi di Tommaso.

Le nostre chiese hanno tanti posti vuoti, forse sono proprio i posti di quei giovani Tommaso che stanno là fuori a cercare di costruirsi un futuro e che spesso ricevono poche risposte: cosa annunciamo loro, in che modo parliamo loro della nostra relazione con il vivente?

Gesù prende tanto seriamente la ricerca di Tommaso da ritornare solo per lui: la sua mancanza chiede una risposta. L’invito ad allungare la mano e a essere credente non è una sfida, ma la conferma di una disponibilità del tutto personale a riallacciare una relazione che neppure la morte può interrompere.

Il Signore ha talmente a cuore il non esserci di Tommaso da scrivere solo per lui una nuova pagina di Vangelo e di annuncio; con il suo invito sembra dire: «continua a fare esperienza di me se vuoi dare speranza alla tua ricerca di vita!»

Sappiamo prendere sul serio l’assenza di tanti che sono occupati a cercare con passione un senso per il proprio futuro, attraverso la ricerca di un lavoro che non c’è e percorsi di vita sempre più difficili da costruire?

Ho l’impressione che si preferisca rimanere chiusi in attesa, magari anche pronti a riprendere chi nel momento opportuno non si è fatto trovare all’appuntamento, senza ipotizzare nemmeno lontanamente condizioni nuove, occasioni vere di annuncio e di incontro, insomma, qualcosa di davvero concreto che faccia trasparire la gioia di una comunità cristiana che accoglie la pace del Risorto.

Se anche le nostre comunità cristiane avessero un briciolo di quella fiducia che il Risorto dimostra di avere in Tommaso, non staremmo a piangerci continuamente addosso per l’assenza di chi oggi vive nel mondo alla ricerca faticosa di un senso: anzi saremmo disposti a sostenerlo, magari chiedendogli la massima serietà in quello che sta facendo, ma mettendogli a disposizione tutto il nostro sostegno e la nostra incondizionata fiducia nella vita.

Cosa volete che se ne faccia un giovane alla ricerca di lavoro, di un cristianesimo impaurito e autoreferenziale, solo capace di parlare di sé e che non ha il gusto di annunciare il Risorto?

Tommaso, l’incredulo, l’assente, a cui Cristo, il risorto e il vivente, offre continuamente il dono della sua amicizia, farà la professione di fede più profonda e vera di tutto il Vangelo di Giovanni: «Mio Signore e mio Dio!». Riconoscerà la possibilità di una relazione del tutto personale.

Quanti giovani, oggi, se si sentissero davvero accolti nella loro fatica di cercare qualche modo per costruirsi un futuro, potrebbero arrivare alla propria personalissima professione di fede? Quanti giovani alla ricerca disperata di lavoro sarebbero rinfrancati da una comunità pronta a sostenerli e ad attenderli senza mugugni e rimproveri?

Che la speranza delle comunità cristiane nel risorto non abbia nulla a che fare con la situazione sociale e la mancanza di lavoro e prospettive di futuro per tanti, oggi, soprattutto giovani, è tutto da dimostrare: la beatitudine di cui parla il Vangelo è proprio quella affidata alla speranza, alla nostra speranza. Non possiamo far finta di niente e pensare che il Vangelo non stia parlando di noi. Certo, «beati coloro che pur non avendo visto crederanno», ma beati anche quelli che metteranno in condizione di credere, con la loro speranza, coloro che oggi non hanno nulla da vedere o pensano di non poter vedere più nulla.

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