Favole e videogiochi
Caratteristica principale del buon pastore è dare la vita per le pecore, così parla di sé Gesù al capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, che ascolteremo nella quarta domenica di Pasqua anno B (Gv 10,11-18). Il mercenario, invece, che non è pastore, non si interessa della vita delle pecore perché non gli appartengono e appena vede arrivare il lupo, o qualche pericolo simile, si allontana e fugge, lasciando il gregge in balia di ogni genere di sofferenza.
Da un lato il pastore buono che conosce tutte le sue pecore e si prende cura di loro fino a dare la vita, dall’altro i tanti che si spacciano per pastori, ma che in realtà non vogliono il bene delle pecore ma solo la propria sicurezza e il proprio tornaconto. Ciò che fa risaltare la differenza è l’arrivo del lupo, proprio come nelle favole, dove il sopraggiungere di una situazione radicale di cambiamento e di rischio mette in moto lo svelamento dei ruoli, lasciando finalmente trasparire l’identità dell’eroe, ma anche l’essenza di tutti gli altri personaggi della storia.
Chi ha studiato il meccanismo narrativo interno delle favole sa quanto questi racconti siano seri e indispensabili per permettere ai bambini di prendere contatto con la realtà.
Gesù sembra quasi parlare di sé all’interno di una favola, usando l’immagine del pastore per aiutarci a prendere finalmente contatto con la nostra realtà di ogni giorno. Come in una favola ci svela che le difficoltà possono diventare un momento di crescita, un momento in cui fare verità; il lupo che ci fa tanta paura può finalmente spingerci a scegliere chi seguire, a chi affidare la nostra vita: possiamo continuare ad andare dietro ai mercenari che intanto fuggono, nella speranza che ci possano condurre in qualche luogo dove trovare riparo, oppure decidere di rimanere con il pastore che non scappa, che dona la vita pur di metterci in salvo.
La discriminante sta proprio qui, nel dono della vita: il pastore ha il potere di scegliere se donare o no la sua vita, decide con coscienza cosa fare perché conosce il Padre che lo ha inviato e ne sa interpretare il volere. Il pastore si sente amato e quindi sa di poter amare dando tutto se stesso.
Già così sarebbe una favola a lieto fine, ma non è ancora sufficiente: il nostro pastore è davvero l’eroe straordinario che ha il potere di dare la sua vita e di riprenderla di nuovo, ma non si accontenta di fare questo per le pecore del suo recinto. Sa che in giro ci sono tante pecore che aspettano di essere raccolte insieme, sostenute e guidate; è consapevole che la sua missione non sarà completa fino a quando non sarà costituito un unico grande gregge capace di riconoscere la sua voce, l’unica voce del pastore buono. Sembra una missione impossibile, un po’ come in quei videogiochi fatti di passaggi successivi sempre più complessi che non hanno mai fine (almeno fino alla tua, di fine). Ma qui non siamo in un videogioco: Gesù dona la sua vita e la riprende senza che nessuno gliela porti via, senza che appaia la scritta game over, per dover poi ricominciare da capo.
La sua missione è proprio quella di farci uscire dal meccanismo da videogioco in cui ci siamo cacciati, dove le uniche alternative possibili sembrano essere quelle di apprendere velocemente le mosse giuste da fare e ripeterle alla perfezione fino a quando sarà possibile farlo, fino a quando non saremo costretti a cedere il passo di fronte a un muro insormontabile, per poi riprovarci di nuovo.
Il comando che Gesù ha ricevuto dal Padre è quello di dare la vita e insegnare a ogni uomo che nel dono della vita c’è la possibilità vera di riprenderla di nuovo, non per ricominciare da capo ed essere costretti a ripetere sempre le stesse cose per sopravvivere, ma per andare avanti e crescere nella libertà.
Nei videogiochi tutto sembra essere affidato alla libertà del giocatore, ma l’esito è scontato in partenza. Nelle favole, dove tutto sembra essere costrizione, in realtà si generano percorsi di vera libertà che ti spingono a fare i conti con la realtà.
In questo momento non dovrebbe preoccuparci il fatto che a causa di una realtà percepita come triste e ineluttabile, molti dei nostri adolescenti si siano chiusi in casa, nelle loro stanze, scegliendo la via di un racconto autoreferenziale che dia l’illusione di poter sempre ricominciare da capo. Ognuno si difende dal lupo che sente arrivare con gli strumenti che ha a disposizione. Dovremmo essere molto più preoccupati di non saper produrre storie e racconti che aiutino a intravedere un cammino possibile, una linea che faccia percepire la bellezza dell’andare avanti verso qualcosa che non c’è ancora ma che sentiamo possibile e necessario. Solo il rimettere in circolo queste storie consentirà ai nostri ragazzi di scegliere di uscire a giocarsi nuovamente la vita senza l’illusione di poter comunque sempre iniziare da capo.
L’illusione dell’eterno ricominciare sta diventando la vera maledizione del nostro tempo.
Il Vangelo offre alla comunità cristiana l’antidoto vero a tutto questo: il ritornare di storie potenti che, sempre uguali solo in apparenza, ci costringono a guardare con occhio nuovo la realtà nella quale siamo immersi per spingerci ad andare avanti.
La storia bella di un pastore buono che dona la vita per le sue pecore e che spinge questo dono fino alla fine, fino a quando tutte le pecore non diventeranno sue, non è forse l’invito a raccogliere tutte le energie possibili contro lupi e mercenari per continuare a credere che sia possibile vivere davvero e affidare la propria vita a una missione che ci faccia guardare in avanti e non al passato?
La comunità cristiana ha un libro straordinario di storie da raccontare e un eroe vero da fare conoscere sempre di più: che sciocchi diventiamo quando ce ne dimentichiamo e pensiamo di dover sempre ripartire nuovamente da capo.