Intermittenza – Gv 16,16-20
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».
Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».
Nel contesto del lungo “addio” di Gesù ai suoi apostoli, con ogni probabilità il Maestro si sta riferendo alla sua imminente passione, morte e risurrezione. Quel «un poco» misura quindi circa tre giorni: questa la distanza temporale dalla croce al sepolcro vuoto.
Ma anche a noi, oggi, con i nostri più o meno chiari percorsi di vita, questo Gesù che c’è-e-non-c’è dice qualcosa. Pare un Gesù a intermittenza. E forse è proprio questa la nostra esperienza. Ci sono momenti in cui Dio ci sembra molto presente e vicino, altri in cui l’aridità che viviamo ci spinge a non vederlo, a sentirlo lontano e assente.
E ci ostiniamo a volere una vita sempre, continuamente, piena. Al punto che, fraintendendo, la rendiamo affollata (ma c’è la sua differenza). Siamo tentati di godere in continuazione di una sorta di “visio beatifica” che ci renda sempre sereni, sempre sorridenti, sempre gioiosi.
A me rincuora un po’ questo Gesù a intermittenza, perché è realistico. Non ci prende in giro: sa bene che la vita è regolata dalla legge dell’ondulazione. Il punto non è continuare sempre a vedere a Gesù. Il punto è quanto lo desideriamo. Questo desiderio di lui, della vera libertà di amare, è capace di affrontare assenze e presenze, la visione e la mancanza, perché ci spinge a continuare a camminare.
Con le nuvole o con il sole.