Caro Erode – Lc 9,7-9
In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.
Caro Erode,
temo non basti tagliare teste per dormire tranquilli. Non serve individuare un nemico e buttargli addosso tutta la tua frustrazione per stare più sereno. Lo dico a te, ma forse dovremmo impararlo anche noi, oggi.
Il profondo bisogno di unità che ognuno di noi ha dentro non è anestetizzabile con la violenza. Resta sempre, vuoi per superficiale curiosità, vuoi per autentico interesse, il desiderio di specchiarci nel volto dell’umanità, così bella e ferita, che, solo, può dare senso alla nostra vita.
Caro Erode, fratello sanguinario, non ti giudico: anche noi “tagliamo teste” in continuazione, magari senza accorgercene. Ma mi dispiace per te: quello senza cervello – perdona l’onestà – sei tu, perché ora non hai più nessuno da ascoltare. Nessuno ti può convertire. E quindi sei solo.