Tagliare per vivere (e non per morire)
La violenza su se stessi, di cui ci parla il Vangelo di questa XXVI domenica del Tempo Ordinario Anno B (Mc 9,38-43.45.47-48), è molto lontana dalla violenza inflitta per un malinteso senso di giustizia agli uomini e alle donne di ogni tempo, anche oggi purtroppo in molte parti del mondo.
Ci si arroga il diritto di applicare la legge del taglione rispetto a uomini e donne ritenute colpevoli di qualche reato: li si priva di una parte del corpo per punirli e renderli segno visibile dell’esercizio del potere, potere divino nel caso dei talebani afgani, potere puramente umano in tante altre circostanze e luoghi del mondo. Siamo alla barbarie più atroce che non merita nessun commento e nessuna giustificazione.
Gesù utilizza immagini molto forti, non per autorizzare una forma di compiacimento masochistico, ma per aiutarci a ragionare in modo diverso e a mettere in atto un vero cammino di conversione e trasformazione della vita.
Ciascuno è chiamato a riconoscere per primo la presenza del male nella propria esistenza, potremmo dire ad essere giudice severo con se stesso, ma non nella prospettiva di un puro esercizio volontaristico finalizzato a migliorare: lo scandalo che va corretto, la pietra di inciampo che ci impedisce di camminare è quella che si frappone tra noi e i piccoli, fra noi e quei piccoli che credono in Cristo e che sono la via che ci potrebbe aiutare a raggiungerlo.
Evidentemente il Vangelo non parla dell’esercizio di vere e proprie mutilazioni volontarie, ma bisogna pure tenere conto della severità dell’immagine per comprendere la serietà del discorso: se non si vuole inciampare continuamente lungo il sentiero diventando possibile rischio di inciampo anche per altri, bisogna fare chiarezza. Dobbiamo tagliare qualcosa nella nostra vita, dobbiamo imparare a togliere quello che rischia di appesantirci, abitudini cattive, realtà di morte che ci impediscono di camminare nella vita.
Sappiamo bene che certi tagli molto dolorosi sono comunque necessari: necessari per continuare a vivere. Il succo del discorso è proprio questo: tagliare per vivere e non per morire.
La logica è quella di riconoscere che dove si lascia agire il male, il rischio è che si prenda sempre più spazio, trascinando tutta la vita nella cancrena. Ecco perché diventa insostituibile un’azione forte, se necessario anche violenta, nei confronti di se stessi. Gesù non ci nasconde questa verità, anzi la rende manifesta per aiutarci a uscire dalle facili giustificazioni.
Spesso si tratta di decidere se continuare a vivere facendo finta di niente ma perdendo un po’ alla volta il significato profondo di quello che siamo, oppure scegliere di tagliare in maniera netta quello che ci appare comodo, rendendo così possibile il recuperare la nostra dignità di figli chiamati a camminare verso il Regno.
Vale la pena ricordare che questa durezza può essere giustificata come necessaria soltanto se applicata rigorosamente su di sé e se agita in vista del Regno: la forza di essere duri con noi stessi deve essere mossa da un profondo desiderio di vita, altrimenti diventa un esercizio sterile di ascesi.
Quando sappiamo essere giudici severi di noi stessi in vista del bene di qualcuno, in realtà realizziamo anche il nostro bene e impariamo ad avere uno sguardo più aperto e comprensivo nei confronti degli altri.
Più impariamo a tagliare con il male che c’è in noi, più impariamo a riconoscere il bene che è presente negli altri: si tratta di una regola di proporzionalità inversa fondamentale per la vita spirituale.
Nessuno che faccia il bene nel nome di Gesù può essere escluso dalla cerchia di chi gli appartiene: chi ne frequenta davvero il nome agisce per il bene ed è suo.
In questa espressione è contenuto un monito per la Chiesa e ogni credente: diventiamo di scandalo, cioè di inciampo per chiunque sia davvero desideroso di incontrare Cristo, quando pensiamo di essere noi a dirigere il traffico, quando pensiamo di poter definire la cerchia degli stretti appartenenti senza tenere conto del desiderio di Gesù che il suo nome possa essere sulle labbra di tutti coloro che vogliano fare del bene.
Siamo di scandalo quando pensiamo che la legge del taglione debba essere applicata agli altri ma non siamo capaci di tagliare in noi stessi quello che ci impedisce di camminare con i piccoli che credono in lui. Siamo di scandalo quando ci preoccupiamo di rimanere integri e puri all’esterno e dimentichiamo che solo quando si è disposti a tagliare con il male che viene dall’interno, iniziamo davvero a camminare nella vita.