Il mantello del coraggio

Il mantello del coraggio

Tutti ci portiamo dietro il peso della nostra storia, non solo di quella personale, ma anche di quella della nostra famiglia di origine e del nostro paese. Uno zaino pieno di cose positive ma anche di fallimenti, cattive abitudini, risentimento. Quando lasciamo spazio a questa parte peggiore, normalmente la vita si avvita su se stessa e si chiude nell’incapacità di pensarsi diversamente da quella che appare: nelle situazioni più compromesse si rimane inchiodati al proprio passato e si diventa incapaci di fare passi diversi da quelli che lui ha già tracciato per noi.

Bartimeo è figlio di Timeo e cieco, il suo presente è quello di sedere lungo la strada a mendicare e per la maggior parte della gente, i molti che cercano di zittirlo, quello sarà anche il suo futuro.

Bartimeo, invece, grida più forte la sua speranza, riconoscendo in Gesù un’origine, quella di essere figlio di Davide, che apre prospettive nuove e sorprendenti per il futuro.

Nel nostro passato ci sono aspetti che ci inchiodano a un presente privo di speranza, oppure elementi che ci aiutano a riconoscere un radicamento che si apre, alle volte anche in maniera inaspettata, verso un futuro ancora tutto da scrivere. Nel riconoscere Gesù come Figlio di Davide, Bartimeo sceglie di radicarsi in un passato, quello della tradizione biblica e della storia di fede dei propri padri che lo spinge a reagire al proprio presente fatto di cecità e immobilità: per questo si alza e grida il proprio desiderio di salvezza.

Molti affermano che oggi, in Italia, la mobilità sociale si sia interrotta: come nel passato chi nasce da genitori laureati finirà per laurearsi, chi nasce da operai farà l’operaio, chi diventa cieco lo sarà per sempre. Questo dato confermato dalle più recenti ricerche sociologiche e dalla necessità che molti giovani sentono di scappare all’estero alla ricerca di una qualche via di realizzazione, descrive una società statica e ripiegata sugli aspetti più negativi del proprio passato, incapace di riscrivere in forma creativa gli stimoli che invece sicuramente ci sono e che ne potrebbero venire per un futuro diverso e forse migliore.

Viene costantemente ricordato a tutti e con grande tristezza anche in molti ambienti ecclesiali, che, in fondo, ci sia poco da fare e che conservare il proprio mantello sia la strategia migliore, l’unica possibile: siamo invitati ad attaccarci a quel poco che abbiamo e a confidare su poche ma chiare certezze.

Hai il tuo mantello? Tientelo stretto e stai zitto.

Il passaggio di Gesù e del Vangelo è sempre una sfida a questo stato di cose, uno stimolo ad andare a ricercare nel nostro passato molto di più di un semplice mantello!

L’invito a tacere è inaccettabile per chi coltiva l’intima certezza di avere di fronte il meglio della storia degli uomini e quindi la ragione vera per coltivare la speranza: l’espressione Figlio di Davide ripetuta e gridata per ben due volte da Bartimeo, apre la via della salvezza a chi è cieco perché si radica nel solco della migliore tradizione: senza vedere con gli occhi, c’è qualcuno che sa ancora leggere la storia degli uomini riconoscendo un filo rosso buono che porta a vedere la vita in modo differente.

Rispondere con coraggio alla chiamata di Gesù vuol dire scegliere di affidarsi alla parte migliore che abbiamo nello zaino, riconoscendo che c’è una parte buona della nostra storia che in lui ci viene incontro e ci invita a rimetterci in cammino.

Nel Vangelo di Marco, di fatto, il cieco Bartimeo diventa il primo di tutti i discepoli, il primo a essere guarito dalla propria cecità: il primo a riconoscere in Gesù la parte migliore della storia del suo popolo per vivere in pienezza la libertà che il Figlio di Davide è venuto a portare ai figli di Dio.

Il coraggio a cui vine invitato Bartimeo e che dimostra di possedere, viene chiesto anche a noi almeno su tre piani differenti ma tutti comunicanti.

A livello personale, siamo capaci di smettere di accampare scuse guardando al nostro passato, piangendoci addosso perché frutto di vicende su cui non possiamo fare niente e che, per questo, subiamo in maniera passiva? Sappiamo riconoscere che non siamo mai soltanto il frutto di un passato che ci segna, ma che possiamo anche essere traiettoria verso un futuro custodito in Dio?

Sul piano sociale, siamo in grado di pensare ancora che l’idea di un progresso indefinito sia quanto mai ingenua ma che altrettanto stupida sia la convinzione che tutto debba ritornare in maniera ineluttabile?

A livello ecclesiale, sappiamo coltivare il desiderio di andare a rintracciare nel nostro passato soltanto i tesori veri, iniziando con coraggio a liberarci dei presunti mantelli che ci danno solo una sicurezza apparente? Detto in altri termini, abbiamo voglia di confrontarci seriamente con il nostro passato accettando che esista una parte migliore e di conseguenza che altre cose, se non proprio peggiori, siano quantomeno inutili?

Attraverso la figura di Bartimeo il Vangelo di questa trentesima domenica del Tempo Ordinario vuole invitarci ad avere il suo stesso coraggio, per arrivare anche noi a dare le nostre risposte a chi ci dice di stare zitti e buoni.

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