Oltre i talk show
Il contesto del Vangelo di Marco, dentro al quale ci muoviamo in questa XXXI domenica del Tempo Ordinario (Mc 12,28-34), lascia intendere che la domanda posta dallo scriba non sia una domanda di sfida o il classico tranello, ma sia in realtà una domanda nata dal desiderio di conoscere e approfondire le posizioni di Gesù e il suo affascinante modo di argomentare.
Colpisce questo desiderio, ben espresso dal versetto 28, che purtroppo la liturgia ha tagliato e che invece sarebbe fondamentale per capire la posizione dello scriba che interroga Gesù sul significato della legge: qual’è il primo di tutti i comandamenti, cioè quale parola di vita che Dio ci consegna è la più importante?
Fare domande per avere risposte vere. Interrogare per conoscere e approfondire. Aprirsi alla possibilità che un’argomentazione ben costruita possa allargare i nostri orizzonti e offrire nuove prospettive. Lo scriba del Vangelo, appartenente a una categoria di solito indicata come esempio negativo, ha qui la funzione, del tutto positiva, di avviare una discussione con Gesù che non si basa sulla contrapposizione e sulla difesa di idee precostituite, ma sul desiderio sincero di apprendere qualcosa di nuovo e sulla volontà di lasciarsi mettere in discussione.
Merce rara in questi nostri tempi segnati dalla dura contrapposizione tra chi conosce tutto e chi sa molto di più. Basta guardare, anche distrattamente, un po’ di televisione e scorrere qualche pagina su internet per constatare l’incapacità di porre domande vere e sincere, domande capaci di suscitare incontro e non scontro ideologico, desiderio di apprendere e non vuota manifestazione di partigianeria.
La domanda dello scriba colpisce per la sua onestà e semplicità: è una domanda reale che apre alla possibilità di un cammino vitale e di trasformazione. Siamo tutti abituati a porre centinaia di domande per chiedere informazioni, così ci hanno abituato fin da piccoli nei primi anni di scuola, ma stiamo perdendo un po’ tutti la capacità e la voglia di porre domande che aprano a veri e propri cammini di ricerca e approfondimento. Ci accontentiamo di ricevere risposte chiare e definitive che non chiedano impegno e che ci mettano in condizione di svolgere il più velocemente possibile quello che stiamo facendo: interroghiamo i nuovi oracoli tecnologici in attesa che ci dicano che cosa dobbiamo fare o che cosa sia possibile scegliere, ma abbiamo perso di vista l’importanza di porre domande che ci facciano incontrare l’altro e scavare con più attenzione dentro di noi.
Ancora più sorprendente dell’atteggiamento dello scriba, la risposta di Gesù che premette al cuore della sua argomentazione una affermazione che lascia sbalorditi: l’ascolto può essere una realtà da comandare? Non sarebbe bastato partire dalla centralità di Dio e dall’amore a lui dovuto come ci hanno insegnato a fare quando facciamo l’elenco dei Dieci Comandamenti?
Non sarebbe possibile comprendere il legame forte e inestricabile che Gesù costruisce tra le due parti della sua risposta senza questa necessaria premessa: Israele è tale soltanto se ascolta, la sua identità, il suo stesso nome, esiste nel momento dell’ascolto di una parola che diventa vita perché accolta. Ecco perché ascoltare è un comando senza il quale l’uomo, anche quello di oggi, fa fatica a darsi un’identità: costruiamo quello che siamo perché ascoltiamo e reagiamo con domande che ci tengono in piedi nella vita, proprio perché all’ascolto dell’altro affidiamo la funzione insostituibile di stimolo e porta di accesso a quella ricerca interiore di cui abbiamo bisogno.
Siamo tutti disposti a riconoscere l’importanza di ascoltare noi stessi, di imparare a darci ragione delle realtà che ci abitano e che si muovono nel nostro cuore, ma se rifiutiamo sistematicamente di ascoltare l’altro che sta fuori di noi, rischiamo di diventare incapaci di porre domande vere che ci facciano rientrare in noi stessi.
Amare Dio con tutte le forze e tutta la volontà e amare il prossimo come se stessi, sono i tre livelli di una felicità possibile che parte solo dall’ascolto e dalla convinzione che la vita non possa essere condotta come un talk show, dove quello che conta è uscire, sempre e comunque, rafforzati nelle proprie idee.
Penso che, nel contesto attuale, alle comunità cristiane sia chiesto di diventare sempre di più luoghi di ascolto, realtà rigenerate dall’ascolto della Parola e del fratello e per questo capaci di creare lo spazio giusto per accogliere domande vere a cui tentare di offrire, insieme, risposte vere.
Solo chi ascolta davvero e sa porre domande sincere che chiedono risposte sincere, impara a camminare e a colmare un po’ alla volta lo spazio e il tempo che ci tengono lontani dal Regno, quel Regno che in Cristo preme alle porte della nostra storia.
Avremo il coraggio di tornare a interrogare Gesù soltanto se sapremo fare i conti con la figura di questo scriba, santo protettore di tutti coloro che si portano in cuore una domanda sincera.