Tutto

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L’immagine della vedova che, nella sua povertà, getta tutto quello che ha per vivere nel tesoro del Tempio viene utilizzata da Gesù per raccontare del suo rapporto con Dio Padre e di come dovrebbe essere costruita una vera e profonda relazione di fede. La figura indicata come modello ai discepoli, non viene utilizzata come semplice ancorché efficace esortazione moralistica a dare tutto se stessi nelle cose in cui si crede. Si tratta invece di riflettere sul fatto che quella vedova è figura di Gesù stesso, del dono che sarà chiamato a compiere attraverso la croce.

Il tutto, quello che serve per vivere, affidato al Tempio, esprime la fiducia piena nel Dio della vita che non toglie e sottrae mai nulla, ma che custodisce e restituisce cento volte tanto.

La vedova compie un gesto folle perché si fida, consegna tutto perché sa che non le sarà tolto. Gesù, indicando il gesto della vedova, mette al centro la questione vitale del rapporto con Dio ponendo una domanda fondamentale per ogni credente: cosa c’è davvero di me, della mia vita, nel poco tempo che dedico all’incontro con Dio?

Il brano del Vangelo di Marco per questa XXXII domenica del Tempo Ordinario (Mc 12,38-44), colpisce per la sua straordinaria semplicità e chiarezza: finché rimaniamo convinti di poter ridurre la nostra relazione con Dio a uno scambio, dove le decisioni su cosa mettere in gioco spettano a noi, alla nostra voglia e alla nostra disponibilità, rimarremo sempre delusi.

Una religiosità costruita sulla contabilità e sulla convinzione che il superfluo sia la giusta dimensione in cui collocarla, restituirà soltanto qualcosa di superficiale che, in fondo, potrà essere giustamente abbandonato.

La dimensione propria del rapporto con Dio è quella della totalità: non si tratta di una totalità quantitativa, ma di recuperare una prospettiva profondamente qualitativa. Non sappiamo quanto tempo trascorresse la vedova nel Tempio, sappiamo però che quanto viene posto alla nostra attenzione è il gesto di un attimo, un attimo pieno, un attimo in cui tutta la vita di quella donna è messa in gioco: ogni gesto, ogni preghiera rivolta a Dio, ogni attimo in cui sia possibile vivere la relazione con lui, dovrebbe avere la caratteristica di questa urgenza.

Le vie di mezzo ci confondono, ci fanno credere di essere abbastanza bravi, ma non ci permettono di sentire l’urgenza con cui Dio vorrebbe entrare nella nostra vita; rischiamo di perdere tempo dietro a pratiche e abitudini esteriori che non chiedono il pieno coinvolgimento dell’esistenza. Il problema decisivo non sta, quindi, nelle cose che facciamo, ma nello smettere di chiedere a noi stessi se e come, in quelle realtà, riusciamo a esprimere davvero la pienezza di quello che siamo: se a messa portiamo il superfluo della nostra settimana, se quando leggiamo la parola di Dio crediamo sempre che parli di realtà generiche che riguardano gli altri o la società, se la nostra preghiera personale diventa un puro esercizio di meditazione per astrarci dalle fatiche della vita, allora siamo come la folla che getta monete sonanti nel tesoro del Tempio, incontrando però soltanto il vuoto tintinnare del metallo che sbatte contro altro metallo.

Quando disperati gridiamo con tutto noi stessi, ma anche quando, nei momenti di gioia, sperimentiamo la straordinaria unitarietà della nostra vita, lì facciamo esperienza di Dio, quello vero, che non può mancare l’occasione di rispondere a chi lo cerca davvero.

In questi giorni di grandi summit internazionali, colpisce sentire quanto spesso i vari capi di stato abbiano parlato di urgenza, scelte decisive, decisioni non più rimandabili, soprattutto in relazione alla questione ambientale e alla salvaguardia del pianeta: stride con grande forza il fatto che a proclami su questioni decisive, si abbia sempre l’impressione che si voglia andare a offrire risposte toccando questioni marginali, pensando di poter agire sull’essenziale attraverso il superfluo. Per invertire la rotta si deve comprendere che il cambiamento richiesto riguarda la totalità della nostra esistenza. Cerchiamo la salvezza del pianeta attraverso i soldi e i grandi investimenti, ma dimentichiamo che se non mettiamo in gioco ogni nostro atteggiamento non ci sarà davvero nessun cambiamento credibile e duraturo: finché non avremo il coraggio di mettere in discussione la nostra economia, le nostre abitudini e i nostri diritti acquisiti o presunti tali, il declino sarà inevitabile. Forse non siamo ancora abbastanza disperati da capirlo o abbiamo perso la capacità di avere uno sguardo contemplativo sulle cose, sguardo capace di farci vedere al di là del nostro immediato.

Il grido dei tanti non può sortire effetto se non diventa il grido di tutti. Del resto, cosa possiamo aspettarci da persone che fanno così fatica a prendersi davvero cura dell’interezza della propria vita personale, continuando a preferire le tante e inutili monete da gettare nel tesoro del tempio, piuttosto che la liberante esperienza di cercare il Padre con tutto se stessi?

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