Il potere del Re
La solennità di Cristo Re dell’universo ci presenta, in questa domenica che conclude l’anno liturgico (Gv 18,33-37), un’immagine molto chiara e potente dell’identità di Gesù.
Se pensiamo alla sfilata continua dei tanti potenti della terra, nelle interviste, nelle apparizioni televisive, nei vari incontri ad alto livello che si susseguono, il dialogo tra Gesù e Pilato appare davvero poco spettacolare: poche parole e la chiara percezione di una totale asimmetria, di una incomprensione di fondo tra chi parla di una cosa e chi ne intende un’altra.
Pochi giorni fa abbiamo assistito, almeno per quello che ci è stato messo a disposizione, al contatto telefonico tra i due presidenti di Cina e Stati Uniti: naturalmente nessuno sa davvero cosa si siano detti in privato, ma quello che mi ha colpito, anche semplicemente nelle battute pubbliche, è stata la finta professione di stima e amicizia reciproca a livello personale seguita da una totale differenza rispetto alle rispettive istanze ritenute inderogabili per i propri paesi. Un’apparente dichiarazione di buona volontà e l’aperta dichiarazione di interessi diametralmente opposti.
In realtà i potenti tra loro si capiscono sempre, perché parlano un unico linguaggio, quello del potere: professano differenze ma in realtà si capiscono benissimo visto che intendono sempre la stessa cosa, accrescere gli spazi di influenza, essere riconosciuti come coloro che hanno fatto grandi i propri paesi agli occhi del mondo. Si dice che abbiano parlato per alcune ore: ho il sospetto, però, che si siano detti cose che sapevano già molto bene. I giochi della diplomazia sono fondamentali per far funzionare il mondo e tenerlo più o meno in equilibrio, ma nella diplomazia ad alto livello conta molto di più quello che rimane tra le righe di quello che viene esplicitato. I re della terra hanno molto da dire per tenere nascosto ciò che davvero conta ai loro occhi: l’esercizio del potere e la gestione di interessi di parte.
Il dialogo tra Pilato, rappresentante del potere romano e Gesù, prigioniero e sedicente re dei Giudei, funziona in modo molto diverso: poche parole, un lento ma inesorabile slittamento dall’idea di re che ha in testa Pilato a quella che espliciterà con chiarezza Gesù al termine di questo serrato incontro.
Poche parole per parlare di verità e mettere in scacco il potere.
Gesù dichiara apertamente di provenire da un Regno che non appartiene alle logiche dei regni terreni, logiche votate alla risoluzione dei problemi attraverso l’uso della forza. L’unica forza di cui vuole davvero disporre è quella del dono di sé: un esercizio libero, pieno e totale della propria capacità di amare l’altro fino a donare la vita per lui.
La verità di cui ci parla Gesù è quella che ci descrive la sua identità e il suo modo di essere re: un modo mai visto e sperimentato sulla terra. I re e i potenti non sono davvero liberi, anche loro sono assoggettati alle logiche perverse del potere fino a dovere, come tutti, cedere il passo di fronte alla morte. Gesù, invece, è libero, perché di fronte alla morte ha il potere di non tirarsi indietro e di consegnare la sua vita decidendo di amare.
Non c’è bisogno di molte parole per fare verità nella propria vita e scegliere la parte migliore: c’è bisogno di ascoltare la voce di chi usa la parola per narrarci che esiste un esercizio del potere molto lontano da quello che abbiamo normalmente in testa: chiedere ai potenti di cambiare senza trasformare radicalmente la concezione del potere che ci portiamo nel cuore, è pura utopia e malsano esercizio di finte istanze profetiche.
All’inizio del dialogo, per rispondere alla domanda di Pilato sulla sua presunta identità regale, Gesù si esprime con una domanda che apre uno squarcio potente anche nel nostro cuore: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?».
Detto in altri termini:c erchiamo la verità solo nelle risposte che ci vengono dagli altri e in quelle che sentiamo vere nel nostro intimo, ma che non ricercano mai un confronto reale al di fuori del mondo delle nostre percezioni?
Ci accontentiamo di conoscere Dio sulla base di un rapporto puramente emotivo, a seconda di quello che stiamo vivendo? Lo cerchiamo soltanto attraverso quello che gli altri vivono e ci comunicano?
Sembra esserci una via differente, una via più vera e sicura: iniziare a credere che Dio parla di sé e in Gesù si consegna a noi nella sua vera e profonda identità di amore. La proposta di questa domenica, in fondo, è quella di iniziare a fidarci di quello che lui stesso ha da dire di sé e un po’ meno di quello che raccogliamo in giro e crediamo di custodire nel cuore.