Stupirsi dell’incontro
Ci sono incontri e incontri, alcuni si trasformano in scontri, ma la dimensione veramente umana dell’incontro dovrebbe essere quella capace di riconoscere la vita e generarla.
Quando un incontro è mosso dall’urgenza di condividere la presenza di Dio, allora è messo in movimento da una fretta sana che ci impedisce di rimanere fermi e chiusi in noi stessi. Quando l’incontro è motivato dalla voglia di annunciare le cose belle della vita, quelle che Dio realizza a partire dalla nostra disponibilità, allora viene naturale aprirsi al mondo e mettersi per strada.
Nel Vangelo di Luca per questa quarta domenica di Avvento (Lc 1,39-45), ci viene descritto il modello di questo genere di incontri, quello tra Maria ed Elisabetta. Una giovane donna, mossa dallo Spirito, perché abitata da questa presenza grazie al suo sì, riconosce immediatamente di non poter tenere solo per sé un dono tanto grande, realmente destinato a cambiare la vita di tutto il genere umano. Una donna anziana, toccata dalla grazia dello Spirito, riconosce con stupore la bellezza di una visita inattesa, diventando tramite alla gioia che perfino il bambino che porta in grembo esprime nell’attimo di un sussulto improvviso.
Tutto è movimento e gioia vera, perché dove la vita viene fatta fluire senza ostacoli sicuramente lì passa l’azione di Dio e del suo Spirito: non un movimento disordinato e sfrenato, fatto di impulsi e risposte a stimoli irrazionali, ma la gioia di una danza motivata dallo scambio, fatta di passi ordinati e veramente rispettosi della libertà dell’altro. Questo è il ballo della vita che solo due donne possono vivere e insegnare.
I prossimi giorni saranno sempre più giorni di incontri. Anche i giornali si sforzano di raccontare le cronache di incontri più o meno significativi tra persone illustri o tra persone di cui non si conosce nulla, ma che vivono una qualche esperienza particolare. Si cerca normalmente di informare sugli aspetti che colpiscono l’immaginario, dando spazio a ciò che diverte e può incuriosire. Raramente però si dà conto della bellezza di certi incontri, perché si fa fatica a riconoscere da cosa siano realmente attraversati.
Alcuni giorni fa, il presidente Mattarella ha voluto incontrare e premiare tutti quei giovani minorenni che si sono distinti nel corso dell’anno per aver espresso il loro desiderio di vita nello studio, in attività culturali, scientifiche, artistiche, sportive, nel volontariato oppure hanno compiuto atti o adottato comportamenti ispirati a senso civico, altruismo e solidarietà. Ragazzi che ci ricordano quanto sia importante vivere bene e non solo sopravvivere pensando esclusivamente a se stessi. Ragazzi che ci parlano di una fretta di crescere buona, fatta di attenzione per le cose che davvero contano e che danno spessore alla vita.
Mi ha commosso, e non lo scrivo semplicemente come formula stilistica, ma davvero con una lacrima agli occhi, la storia di Mattia che tutti i giorni si prende cura del papà malato di Alzheimer: lo fa con naturalezza, attraverso i gesti quotidiani, come se fosse lui il padre di suo padre, così ha ricordato in un’intervista la mamma di Mattia. Lo fa certo con fatica, ma a soli dodici anni, con un senso di grande responsabilità. Lo fa con tristezza per la condizione del padre, ma anche con la gioia di chi riconosce che la vita va accompagnata anche quando diventa difficile spiegarla. Lo fa nella normalità di un ragazzino della sua età che si aspetta i regali di Natale. Lo fa anche se la società attorno a lui è troppo distratta per assistere con maggiore attenzione famiglie che vivono drammi come il suo.
Leggere le storie di questi ragazzi che hanno vissuto la gioia dell’incontro con l’anziano Presidente della Repubblica che ha saputo riconoscere nelle loro vite il bello della vita, fa bene al cuore e aiuta, come il migliore degli antidoti, a proteggersi dalla frenetica cattiveria di questi giorni.
Lasciamoci aiutare anche da queste storie a leggere la nostra vita con meno frenesia e a riscoprire la gioia di sentire l’urgenza di andare verso gli altri per riconoscere la bellezza del Dio che li abita. Di Maria impareremo a conoscere tanto attraverso le vicende del Natale, ma di Elisabetta mi piace sottolineare qui il suo stupore e la sua capacità di riconoscere, in chi le sta davanti, la presenza di qualcuno che le porta la salvezza. Sì, perché anche se ce lo dimentichiamo, la salvezza viene da Dio e a portarcela sono sempre gli altri. Sarebbe bello vivere questi ultimi giorni che ci separano all’incontro con il Natale del Signore Gesù con la gioia nel cuore che può nascere solo dal riconoscerci bisognosi di incontrarsi davvero: lasciare agire lo Spirito per diventare portatori di vita è l’unica fretta necessaria per abitare con responsabilità la storia del nostro tempo.