Passare in mezzo
Il Vangelo della Quarta domenica del Tempo Ordinario (Lc 4,21-30) parte esattamente con la frase conclusiva di quello che abbiamo ascoltato la settimana scorsa: l’oggi di Dio si sta realizzando in Gesù e nella sua parola e tutti sono colpiti dall’evidenza di un’autorità che si manifesta con grazia e che sembra impossibile provenire dal figlio di un falegname. Proprio qui è il punto che fa da spartiacque con quanto segue nella narrazione. L’uditorio di Gesù è colpito dalla freschezza di quanto sta ascoltando, ma non riesce a soffermarsi sui contenuti perché preoccupato di darsi ragione del fatto che Gesù sia uno di loro e che quindi debba dimostrare in pratica ciò che si dice di lui.
Può sembrare strano, ma di fronte all’annuncio di qualcosa di buono per la nostra vita spesso reagiamo con diffidenza, con sospetto, come se attendessimo sempre e comunque una fregatura: per questo siamo sempre alla ricerca di prove, di qualcosa che ci confermi e che ci dia la sicurezza necessaria per accettare che la vita possa riservare qualcosa di buono anche per noi.
Risulta normale allora, per quanti stanno ascoltando Gesù, chiedere un segno, qualche miracolo di quelli che Gesù ha già fatto nella sinagoga di Cafarnao e di cui si è già sparsa la fama: spetta a Gesù dimostrare di non essere solo il figlio di un falegname. Spetta sempre a Dio dimostrare qualcosa: così ragionano gli uomini e spesso anche i credenti.
La sfida di Gesù, invece, si muove su un piano differente: sono gli uomini e le donne che vengono invitati a esprimere il proprio bisogno di Dio, attraverso la loro disponibilità a incontrarlo, come è avvenuto per la vedova di Sarèpta di Sidone o per Naamàn il Siro; sono gli uomini e le donne capaci di non cedere alla tentazione di accampare diritti nei confronti della vita a ricevere la visita inaspettata della salvezza; sono gli uomini e le donne che si aprono alla sorpresa e alla novità ad avere la possibilità di incontrare davvero nella loro vita qualcosa di nuovo e inaspettato.
Finché si rimane ad una ricezione generica del messaggio evangelico, come capita spesso anche su altri piani e aspetti della vita, siamo disposti a riconoscerne la straordinarietà, ma quando si tratta di accogliere in profondità lo stesso messaggio, facendolo diventare parte integrante della nostra esistenza, allora iniziano i distinguo e le fratture. Il Vangelo è sempre parola di grazia, ma proprio per questo porta in sé la grazia di mettere in discussione chi lo accoglie. Chi non si lascia mettere in discussione alla fine preferisce andare sul sicuro e rifiutare la presenza scomoda di Gesù. Se non accettiamo di confrontarci con la Parola nella quotidianità, diventa molto facile passare da un entusiasmo generico alla diffidenza più assoluta, da una generica adesione di principio, al rifiuto totale di qualcosa che potrebbe trasformarci la vita in meglio ma che ci sembra di non riuscire a capire.
Spesso alla ricerca dello straordinario, non riusciamo più a vedere quello che ci serve davvero nel quotidiano e rifiutiamo di accogliere in profondità quello che abbiamo già a portata di mano: nel nostro oggi c’è già una profezia a disposizione che dice della bontà della nostra vita, dobbiamo stare attenti a non farcela sfuggire, a non lasciarla cadere nel vuoto, a non confonderla con le tante false previsioni che fanno riferimento a possibilità straordinarie ma irrealizzabili.
Il Vangelo cammina con noi da oltre due millenni e non c’è generazione che non abbia trovato in esso parole di grazia e possibili motivi di ispirazione, ma quando si tratta di farlo diventare vita, ciascuno è chiamato a scegliere se continuare a lasciarsi meravigliare o preferire lo sdegno piccato di chi pensa di sapere già tutto e non avere bisogno di niente.
Ogni giorno avrà la sua possibilità di lasciarsi incontrare con il Vangelo che cammina lungo la strada degli uomini, ma ogni occasione persa non ritornerà più allo stesso modo e di questo dobbiamo iniziare a essere consapevoli.
In questi giorni il nostro paese sta eleggendo il nuovo presidente della Repubblica e al momento della stesura di questo commento, dopo le prime votazioni, siamo ancora a un punto morto di grande indecisione: alla fine verrà sicuramente eletto qualcuno, ma tutte le occasioni andate a vuoto rappresenteranno un appuntamento mancato, l’appuntamento mancato con la possibilità di esprimere il senso di unità e responsabilità di cui il paese ha realmente bisogno. L’incapacità di leggere il presente e le occasioni che la storia ci offre, raccontano della fatica di fare i conti con la possibilità di realizzare il bene quando se ne ha la possibilità perché legati alle pastoie dei vecchi schemi e delle abitudini consolidate anche in campo politico.
Altre occasioni ritorneranno, sicuramente, già nei prossimi giorni o magari tra sette anni, ma saper rinunciare ai propri interessi, allargando lo sguardo alla prospettiva del bene comune per tessere le maglie di un sentire che vada al di là delle pur legittime differenze, pare essere un orizzonte ancora troppo lontano per la politica italiana. Dobbiamo ricordare, però, che dietro a questa politica ci siamo noi, anche noi credenti che non ci lasciamo mettere davvero in discussione dal Vangelo che spesso sbandieriamo come la soluzione di tutti i problemi, ma che poi non siamo disposti ad accogliere.
Preferiamo il facile entusiasmo di un’impressione, alla fatica di lasciare che il Signore si fermi in mezzo a noi con tutto il peso della sua profezia: chiediamo il miracolo di un presidente della Repubblica che vada bene a tutti, ma poi non accettiamo di dialogare tra noi, nelle situazioni di ogni giorno, dove potremmo imparare che è possibile pensarsi diversi da come si è sempre fatto. Spetta a noi dimostrare che ne siamo capaci. Spetta a noi dimostrare che non vogliamo lasciare passare il Signore in mezzo a noi per farlo andare via.