Pane, potere e fantasia (poca se si continua a fare guerra)
Nella prima domenica di Quaresima anno C (Lc 4,1-13), siamo portati nel deserto dove fare i conti con noi stessi, sperimentare fame, sete, desideri inconfessabili. Di fronte a tutto questo ci viene chiesto se ci fidiamo di Dio, se ci fidiamo del fatto che i figli di Dio possano davvero vivere di un pane che non si procurano con le loro mani, di un potere che non avveleni la loro vita e di una fiducia che li possa sostenere anche nei momenti più duri e difficili.
Sarebbe troppo facile leggere l’attualità del brano che ci presenta le tentazioni di Gesù, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni in Ucraina. Troppo semplice arrivare alla conclusione che chi si abbandona alla tentazione del potere, spingendosi a dare soddisfazione a ogni proprio desiderio nella convinzione di realizzare il volere divino, sia l’esatto ritratto di ogni dittatore che si toglie la maschera della rispettabilità, per rivelare le fattezze di un’umanità che è l’esatto contrario di quella che ci è venuta a rivelare il volto di Gesù.
Noi che moltiplichiamo pane ogni giorno senza sperimentare la fame da decenni, sappiamo ancora chiederci come gestiamo i nostri desideri di fronte ai bisogni, quelli veri? Questa domanda così radicale che innerva la quotidianità di tante persone nel mondo, di tutti coloro che vivono nell’indigenza e nella fame, torna ad abitare con forza questi nostri giorni in cui saremo chiamati a offrire pane a tanti profughi, ma anche in cui dovremo fare i conti con il diminuire della disponibilità di tante materie prime che mai avremmo pensato di dover gestire con parsimonia. Evidentemente quello che Gesù sperimenta al termine della permanenza nel deserto, va a toccare le realtà più profonde della vita di ogni uomo, in ogni tempo.
Come possiamo credere che un vero discorso sulla tentazione del potere riguardi soltanto i grandi della terra, quando ogni giorno siamo sollecitati a usare il potere di cui disponiamo per affermare noi stessi a scapito della libertà dell’altro? Come sentire rivolto ad altri il duro rimprovero che rinfaccia ai credenti di servirsi della religione per ottenere dei vantaggi, quando noi siamo i primi che nelle nostre preghiere non facciamo altro che chiedere il nostro bene dimenticando quello degli altri?
La bruttura della guerra, di questa guerra spietata e assassina, come di tutte quelle che oggi neppure ricordiamo – come se potessero esistere guerre buone e virtuose – ci sbatte davanti agli occhi il fatto che dove si smetta di porre freno alle proprie tentazioni non può esserci altro che morte e distruzione. Non si tratta di svolgere il solito sermoncino moralistico sul senso del dominio di sé o di affrontare la vulgata laicista sul tema dell’autocontrollo: qui stiamo parlando di avere il coraggio di guardare in faccia le realtà profonde di cui l’umanità non può fare a meno. Realtà vitali, essenziali, potremmo dire ataviche e, proprio per questo, radicalmente pericolose se maneggiate con superficialità, come potrebbe fare un dittatore, o banalizzate, come spesso avviene, sul piano della discussione pubblica del circuito mediatico nelle nostre democrazie.
I bisogni che muovono ogni uomo possono diventare motore di vita quando si trasformano in desideri che aprono al dialogo e progettano futuro, incubi pericolosi se rispondono esclusivamente a impulsi incontrollati.
Un potere esercitato in nome della gloria e dell’affermazione di una qualche idea di superiorità diventa puro asservimento al male, quanto di più lontano possa esserci dall’idea evangelica del servizio.
Continuare a pensare che la spiritualità e tutto quello che attiene alla religione e al rapporto con Dio sia puro retaggio del passato o di una mentalità arcaica, è la risposta più avvilente che una mentalità scientista, non scientifica, possa fornire ad un’umanità sempre più asservita alla tecnica e sempre meno capace di gestirla.
Di queste cose dobbiamo tornare a occuparci con il massimo rigore: sono queste le realtà a cui il Vangelo ci invita a prestare attenzione in questo inizio di Quaresima, perché la nostra vita non si trasformi in qualcosa di bestiale e disumano. Tutti noi per vincere l’idea della guerra come soluzione dei problemi dobbiamo avere il coraggio di ingaggiarne una con noi stessi, quella quotidiana e seria che si basa su tre semplici domande: di cosa alimentiamo la nostra vita? Quale potere decidiamo di accettare? Quanto siamo disposti a fidarci di Dio? In fondo, Gesù è andato nel deserto proprio per dimostrare a ciascuno di noi che, con lui, è possibile rispondere con fantasia e serietà a queste domande per riscoprire il volto vero con cui Dio ha pensato l’umanità, senza cadere nel facile pessimismo di chi dice che la storia va sempre allo stesso modo.