Il segno è l’altro – Mt 11,29-32

Il segno è l’altro – Mt 11,29-32

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Siamo sempre alla ricerca di un segno per credere, ieri come oggi. Andiamo per santuari sperando di essere i destinatari di rivelazioni straordinarie, osanniamo veggenti e santoni di ogni specie che spesso non sono altro che dei ciarlatani o degli invasati, lupi solitari privi di ogni radicamento comunitario. L’appartenenza a una comunità cristiana è sempre un buono criterio, non l’unico certo, ma decisivo in questi casi, di un cammino che si nutre di Vangelo.

Gesù è duro su questo punto e la sua parola alla folla è di rimprovero. Veniamo richiamati tutti quanti dall’invito a non cercare dei segni esterni a noi, ma dentro di noi, segni di conversione, segni semplici che testimoniano che noi stessi dobbiamo diventare segno, come gli abitanti di Ninive.

La rinuncia ad ogni forma di violenza assunta come decisione personale libera, questo indica che il cammino intrapreso è fecondo e ha una destinazione non immaginaria ma reale, capace di costruire storia e legami rispettosi.

Il segno è l’altro, il suo volto e le sue ferite e il suo desiderio di essere chiamato per nome. Come suggerisce papa Francesco la sapienza da apprendere è quella dell’altro: non dare risposte ma condividere. E non perdere il buonumore che, invece, la ricerca ossessiva di segni è capace di spegnere.

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