Scendere dal monte
Questa volta è davvero difficile non chiederti di poter salire con te sul monte, Signore. Portaci con Pietro, Giacomo e Giovanni: non lasciarci qui a terra a riempirci gli occhi di terribili scene di guerra e pianto. Perfino gli ospedali vengono colpiti e distrutti da bombe intelligenti guidate dalla mano di uomini sempre più stupidi. Non lasciarci a riempire il cuore di amarezza per quello che sta succedendo alle porte di casa, ma che non ha mai smesso di accadere un po’ più lontano, a distanze che pensavamo di sicurezza ma che in realtà erano solo buone per anestetizzarci la coscienza. Questa seconda domenica di Quaresima (Lc 9,28-36) ci fa salire sul monte della Trasfigurazione, dove il Signore Gesù sembra voler consolare i discepoli che ha chiamato con sé dopo aver annunciato loro la realtà della croce: li vuole consolare da qualcosa che non possono capire in tutte le sue sfaccettature, ma che anche loro saranno chiamati a vivere nella sua durezza. Lasciando intravedere la realtà della risurrezione e la gloria che accompagna la sua missione, una gloria fatta non di potenza terrificante, ma di amorevole dialogo con tutte le Scritture rappresentate da Mosè ed Elia, Gesù offre una prospettiva differente sulla miseria della morte e della sofferenza: suggerisce quello a cui tutti saremo destinati se sapremo fidarci di lui e affidarci alla strada da lui tracciata.
Nel suo manifestarsi, allo stesso tempo, come uomo e Dio della luce, lascia intravedere che anche noi siamo chiamati a fare la stessa esperienza: ci ricorda che se sappiamo guardare a lui e riconoscere in lui la nostra origine, diventa possibile dare credito alle parole di Dante:
Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza (Inf., XXVI vv. 118-120)
Svegliati dal sonno che ci opprime il cuore, viene davvero voglia di parlare come Pietro e di chiedere di rimanere dove si sta bene, dove è possibile vedere un’umanità pienamente realizzata, un’umanità fatta per cose grandi e belle.
Lasciaci anche solo per un attimo credere che sia possibile rimanere qui con te sul monte, non ci confondere subito le idee con la tua nube, lasciaci balbettare parole insensate, tanto a valle se la caveranno anche senza di noi.
Il tempo di dire una frase senza senso e con la tua presenza fatta di mistero che non possiamo mai capire fino in fondo, ci aiuti a comprendere che la strada giusta non è quella che desidera un benessere senza condivisione, ma quella che invoca il riconoscimento di un’elezione che passa attraverso l’amore. Tu sei l’amato perché Figlio del Padre, ma nell’ascoltare te anche noi possiamo diventare sempre più figli e scoprire di essere amati. Ci basti tu solo, tu solo sei quello di cui abbiamo bisogno per riuscire a leggere questo tempo così tragico e travagliato: non ci serve altro che ritornare a te per stare con te e godere delle tue parole che sono lampada ai nostri passi incerti.
Tu ci rimandi a valle perché sai che tanti oggi aspettano che non ci teniamo per noi quello che abbiamo sperimentato, quello che abbiamo intravisto con te sul monte: chi sta sperimentando la tragedia della croce ha bisogno di sapere che qualcuno è stato sul monte e ha visto a cosa siamo destinati. I tre discepoli hanno dovuto fare silenzio perché non avevano ancora fatto esperienza della croce, ma noi oggi dobbiamo parlare perché la croce di tanti uomini, e soprattutto donne e bambini, ci sta di fronte con tutta la sua forza e la sua tragedia.
Forse oggi è il tempo dei bruti, ma se, proprio ora, anche noi andassimo a cercare altre risposte diverse dalle tue, difficilmente riusciremmo a recuperare quella semenza da cui traiamo origine e che aspetta di essere portata a compimento nell’incontro con te.
Forse oggi è il tempo dei bruti, ma anche noi ci scopriremmo tali, né più né meno, se accettassimo la logica di una croce non condivisa, se pensassimo di poter vivere davvero la nostra vita senza lasciarci interrogare dal male che l’attraversa.
Forse oggi è il tempo dei bruti, ma domani anche per loro potrebbe riaprirsi la speranza di riconoscersi umani. Anche per questo dobbiamo imparare a pregare.
Sono tempi incerti e confusi e anche la mia riflessione di oggi è piuttosto altalenante: non sono neppure riuscito a scegliere che tono mantenere. Avrei voluto scrivere un commento e invece ne è uscita un’invocazione, confusa anche nell’uso della voce narrante. Sono tempi confusi, del resto, e, forse, proprio la preghiera di invocazione è la via più chiara e sicura per intraprendere la discesa dal monte e mantenere la fiducia in Dio e negli uomini.