In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

C’è chi, prima di partire, prende il necessario per il viaggio e chi, come Gesù, lascia.

Accumuliamo tante cose nella vita, materiali e immateriali, per proteggere la nostra vulnerabilità. Eppure, come ricordava recentemente Papa Francesco, quando il viaggio su questa terra finisce dietro il feretro non si è mai visto il camion dei traslochi, e la roba accumulata resta lì dov’è.

Lascia solo chi sa di non perdere nulla perché ha già tutto e a un livello così profondo del suo essere dove nessuno può rappresentare una minaccia; lascia chi sa di non avere niente se gli manca la cosa fondamentale, proprio ciò che Gesù affida ai suoi discepoli: la pace. Non quella che dà il mondo, quella porzione spazio-temporale di tranquillità dai confini ben marcati e protetta da muri ideologici – e sempre più spesso in calcestruzzo – per tenere lontani i disturbatori. No, la pace che lascia Gesù è la relazione col Padre, a partire dalla quale ogni figlio comprende il proprio posto nella storia e la propria responsabilità verso le altre creature.

Solo chi ha accolto il dono della pace dal Signore Gesù può affrontare il principe del mondo; e quando il dono è ricevuto e messo a frutto Egli può sparire, come ad Emmaus, o smettere di parlare, perché sulla scena del mondo ora parlano i suoi discepoli, ieri come oggi.