La speranza in un granello di senape
Sarebbe molto facile commentare il recente esito delle elezioni in Italia alla luce del Vangelo che la liturgia ci offre in questa XXVII domenica del Tempo Ordinario anno C. Sarebbe facile leggere nell’immagine conclusiva che ci presenta il Vangelo di Luca (Lc 17,5-10), quella del servo inutile, la speranza che chi si mette a servizio della cosa pubblica lo faccia nella prospettiva di una forma gratuita e disinteressata. Sarebbe molto facile ricordare, a questo punto, che la politica dovrebbe essere sempre servizio e non esercizio del potere, ascolto e non boriosa manifestazione degli interessi di parte, realizzazione del miglior compromesso possibile in favore del bene comune e mai imposizione sorda di languide ideologie.
Sarebbe fin troppo facile ridurre tutto a una insipiente tirata moralistica, facendo quello che si fa normalmente di fronte ai fatti importanti che fatichiamo a decifrare: sarebbe facile ma impossibile da fare di fronte a questa pagina di Vangelo.
Non possiamo fare l’errore di continuare a proiettare sugli altri quello che noi fatichiamo a vivere, quello che noi stessi, per primi, sentiamo essere difficile e quasi impossibile per la nostra stessa esistenza: chi può dire con un briciolo di onestà di essere contento di venire considerato un servo inutile, contento soltanto della soddisfazione che nasce dall’aver fatto il proprio dovere e di aver risposto in maniera perentoria alle esigenze della vita? Chi potrebbe avere questo coraggio?
Il giochino di proiettare sugli altri virtù che abitualmente non frequentiamo, nella pretesa che altri le incarnino in maniera integerrima, è esattamente espressione di quella mancanza di fede che la prima parte del brano ci mette davanti. Se avessimo fede quanto un granello di senape, avremmo probabilmente una considerazione migliore del genere umano, a partire da una considerazione più onesta di noi stessi e della nostra situazione.
La fede di cui ci parla Gesù non è una fiducia generica nella bontà degli uomini, è la fiducia piena nella bontà di Dio che, decidendo di abitare questa nostra storia, ha scelto di rinnovare anche per noi, oggi, la possibilità di realizzare cose grandi e straordinarie: paradossalmente, la prima di queste cose straordinarie, vero e proprio dono da accogliere, è il fatto di riconoscersi strumento nelle sue mani. Non ci viene chiesto di alimentare la nostra vita con la pratica di un’umiltà posticcia e forzata.
Siamo invitati a riconoscere che la nostra dignità è data dal fatto di prendere parte alla vita di Dio, a come lui la progetta e l’organizza, a come lui la vorrebbe per noi nel fluire continuo delle giornate e degli avvenimenti. Il nostro riconoscerci servi inutili è parte essenziale di un cammino di piena e sana consapevolezza rispetto alla vita. Nell’accogliere il nostro essere servi inutili diventiamo più umani e quindi davvero più capaci di cose straordinarie secondo la prospettiva del Vangelo.
Accogliendo con gratitudine la verità sulla nostra condizione non veniamo mortificati, ma resi capaci di realizzare forme nuove e profonde di relazioni vere e autentiche.
Proviamo a pensare a cosa sarebbero le nostre famiglie se tutti vivessimo come servi inutili gli uni a disposizione degli altri; proviamo a immaginare cosa sarebbero i nostri luoghi di lavoro, cosa potrebbero diventare le nostre comunità, i nostri paesi e le nostre città se tutti crescessimo nella consapevolezza di essere ugualmente indispensabili, ma allo stesso tempo inutili.
Forse è proprio questo il miracolo del gelso, che potremmo realizzare se avessimo il coraggio dei discepoli di chiedere per noi un po’ più di fede: ne basterebbe quanto un granello di senape.
Allora diventeremmo credibili nel chiedere agli altri quello che abbiamo scoperto essere fondamentale per noi e per le nostre vite. Allora con l’umiltà di un granello di senape, potremmo chiedere con forza, ma senza atteggiamenti di astio o finta indignazione, perfino un po’ più di coerenza ai nostri politici.
Potremmo aspirare addirittura a vedere riconosciuta la centralità del servizio nel dibattito pubblico, antidoto vero ad una possibile stagione di contrapposizioni e drammatiche lacerazioni sociali.
Potremmo perfino sperimentare per noi, per la nostra interiorità, quella pace vera che viene dal riconoscere che siamo chiamati a fare la nostra parte, ma che da questo non dipende la salvezza del mondo e neppure la nostra salvezza: del resto un servo inutile ha la consapevolezza di vedere riconosciuta, prima o poi, quella gratuità che lo rende una persona sempre più libera e capace di prendere parte alla realizzazione di un mondo più giusto.
Se molti dei nostri giovani avessero l’opportunità di incontrare sulle strade della vita servi inutili mossi dalla fede, quanta ce ne può stare in un granello di senape, probabilmente andrebbero a votare in massa alle prossime elezioni: anche questo sarebbe un miracolo non da poco!