Chiedere alla persona giusta
C’è un detto più o meno diffuso e accettato che dice che l’insistenza viene premiata. Sappiamo molto bene, però, che spesso non è così, anzi, fin da piccoli sappiamo che alle volte l’insistenza viene punita, oppure semplicemente viene ignorata e non porta agli effetti sperati.
Ogni bambino impara molto presto a fare i conti con un’insistenza che deve saper dosare nel modo più giusto per ottenere dai genitori quello che desidera: insistere e basta può essere espressione di cieca cocciutaggine, ottusa espressione dell’affermazione di sé che non porta da nessuna parte.
L’insistenza finalizzata alla realizzazione di un progetto, incanalata nei binari di una idealità positiva, diventa strumento fondamentale per la realizzazione del progetto stesso: tutti coloro che hanno realizzato qualcosa di davvero grande per l’umanità hanno saputo esercitare una qualche sana forma di insistenza. Siamo pieni di esempi di insistenze portate all’estremo pur di ottenere un qualche risultato: in positivo, possiamo pensare a quanta tenacia deve esserci stata dietro al percorso di vita che ha portato una donna italiana come Samantha Cristoforetti a diventare il primo comandate della Stazione Spaziale Internazionale; in negativo, abbiamo imparato a riconoscere quanta folle insistenza ci sia nell’incapacità di accettare un rifiuto da parte di un uomo che non sa cosa voglia dire amare al di fuori del concetto opposto di possedere.
L’insistenza in sé non è un realtà positiva né negativa, si tratta di capire a quale contesto viene applicata e in che modo viene spesa.
L’evangelista Luca, che ci accompagna in questa XXIX domenica del Tempo Ordinario anno C (Lc 18,1-8), ci chiede di fare proprio i conti con il tema dell’insistenza applicato alla preghiera.
Attraverso la figura di una vedova caparbia che cerca giustizia presso un giudice disonesto e lontano da ogni forma di timore nei confronti di Dio e degli uomini, siamo posti di fronte alla questione che tanto angoscia la vita dei credenti: in che modo Dio risponde alle nostre preghiere e, detta ancora più brutalmente, ma è proprio vero che Dio ascolta chi lo invoca?
Presentando la figura del giudice disonesto che alla fine fa giustizia alla vedova, non per qualche forma di riguardo, ma semplicemente per non essere più importunato, Gesù accentua fortemente il contrasto con la realtà di Dio: con tutta evidenza si arriva ad affermare che Dio, proprio perché buono e misericordioso, non esiterà a fare giustizia, cioè a realizzare il bene, per tutti coloro che glielo chiederanno con insistenza. Come mai allora abbiamo spesso la percezione che non sia così?
Abbiamo tutti fatto esperienza di rivolgerci a Dio in qualche momento particolare della nostra vita, magari chiedendo la grazia della guarigione per noi o per qualcuno, e sperimentando esiti molto differenti rispetto alle nostre richieste. Ci siamo detti allora che forse Dio ha cose più importanti di cui occuparsi, o che abbiamo chiesto in modo sbagliato o che, forse, quello che stavamo chiedendo non era davvero il bene necessario: tutte risposte molto parziali se non addirittura fuorvianti.
L’insistenza della vedova racconta di un modo di essere che permea tutta la sua vita e che si ricollega all’invito iniziale rivolto da Gesù ai suoi discepoli: è necessario pregare sempre senza stancarsi mai. Come realizzare questa condizione della vita cristiana ritenuta necessaria da Gesù, ma impossibile nella forma canonica che noi tutti assegnamo alla preghiera?
La vedova apparteneva a una delle categorie sociali più disagiate del tempo di Gesù: sola, senza un uomo che ne prendesse la difesa e che potesse rappresentare le sue istanze, era costretta ad affidarsi al buon cuore della gente. Se anche poteva accampare un qualche diritto non aveva poi nessuno in grado di darle voce: era destinata al totale silenzio sociale se non avesse trovato un qualche protettore.
La grandezza della vedova della nostra parabola sta nel fatto di vivere l’intima convinzione che il giudice, anche se disonesto, sia l’unico che possa davvero darle soddisfazione. La vedova raggiunge il suo scopo non perché prega con petulante insistenza, ma perché indirizza con insistenza vera e profonda la sua richiesta alla persona giusta, l’unica che può davvero cambiarle la vita, l’unica che può farle giustizia.
Il sempre della preghiera, allora, non è semplice questione di tempi. Gesù non parla di un tempo costante e continuativo in cui dire le preghiere, ma ci pone davanti a un problema di atteggiamento: siamo davvero convinti che Dio sia l’unico che può rispondere pienamente e interamente alla richiesta di bene per la propria vita che ciascuno continuamente riformula nelle maniere più disparate?
La vedova individua nel giudice l’unico a cui poter chiedere il bene; il credente dovrebbe riconoscere in Dio l’unico da cui cercare con insistenza il bene. Troppo spesso preghiamo avendo la percezione di non venire ascoltati, perché, in realtà, la nostra preghiera è rivolta a Dio come se fosse uno tra i tanti, sicuramente non l’unico da cui aspettiamo tutto il bene possibile. É questo atteggiamento di fondo che potrebbe fare della nostra vita una preghiera continua: è la convinzione intima di essere sicuri che stiamo insistendo proprio con la persona giusta!