Risorgere come figli
La grande novità per il nostro paese di avere, per la prima volta, una prima ministra donna, ha scatenato una serie di riflessioni più o meno sensate sul ruolo della donna nella nostra società. Indipendentemente da valutazioni strettamente politiche, la cosa rappresenta un’oggettiva e decisa acquisizione sociale positiva di cui tenere conto: sarebbe sciocco svalutarla per ragioni ideologiche o visioni di parte.
Non era mai accaduto nella storia della nostra Repubblica che ad una donna fosse data la possibilità di accedere a una carica istituzionale così alta: come mai? Eppure la parità di genere è sancita dalla nostra costituzione e le donne sono state ammesse alla possibilità di votare ed essere votate con le prime elezioni libere postbelliche del 1946. Per quale ragione ci sono voluti tutti questi anni prima di vedere realizzarsi quello che agli occhi dei più pare una realtà doverosa oltre che normale?
Sappiamo bene, in realtà, che il bisogno di sottolineare qualcosa rappresenta la sua eccezionalità e di conseguenza finisce per mettere in luce una condizione di disparità evidentemente ancora molto presente e spesso data per scontata. Le ragioni che spiegano, nei fatti, una tale situazione sono sicuramente molto complesse e non possono riguardare la funzione di questa riflessione, eppure vale la pena sviluppare una piccola osservazione: c’è una tendenza nel mondo maschile a fissare ruoli e a vedere le cose solo in funzione di sé e della propria realizzazione. Una situazione che non sembra essere cambiata molto rispetto all’antichità e che pare avere trovato una linea di conferma costante nei secoli e nelle varie espressioni sociali che si sono susseguite; una linea di pensiero che fa della forza, a partire da quella fisica, il metro di valutazione sufficiente per stabilire le condizioni di esercizio del potere, dove la semantica del potere non prevede, in alcun modo, la possibilità reale di sovrapporsi a quella del servizio e della cura. A questa casistica sembra appartenere la vicenda descritta nel brano di Luca per questa XXXII settimana del tempo Ordinario anno C (Lc 20,27-38). I sadducei, gruppo appartenente al variegato mondo delle modalità interpretative della fede ebraica al tempo di Gesù, particolarmente interessato a dimostrare l’impossibilità della resurrezione, proponendo un caso evidentemente di scuola e senza alcuna possibile soluzione, cercano di incastrare Gesù. Cercano di metterlo di fronte alla necessità di dichiarare l’insensatezza della prospettiva di una possibile resurrezione, a partire da un caso dove si ragiona esclusivamente da un punto di vista maschile. La vicenda della donna che senza lasciare eredi viene trasmessa di fratello in fratello, secondo una chiara indicazione della legge, ma che al momento segnato da una eventuale risurrezione non può appartenere a nessuno, perché già stata di tutti, nasconde una prospettiva dove quello che conta è soltanto un’organizzazione gerarchica della vita in cui la donna rappresenta principalmente un possesso e al limite un caso da gestire.
Gesù, con la sua risposta, non solo conferma la prospettiva della risurrezione, ma scardina anche ogni forma di rigida ipocrisia, ricordando a tutti che Dio è il Dio dei viventi, di tutti i viventi e che la vita oltre la morte continua in una forma che darà pieno compimento a quello che è stato il progetto iniziale del Padre sull’intera creazione: l’uomo e la donna al centro di una visione dove quello che conta è soltanto essere figli.
Con le sue parole Gesù non vuole annullare l’importanza di quello che ciascuno è chiamato a vivere nel suo pellegrinaggio terreno, anzi, desidera rafforzare l’idea che la vita, per diventare piena anche qui sulla terra, aspetta di essere vissuta come figli della risurrezione.
Credere alla vita che non muore, annulla ogni distinzione e dà il coraggio di sperare che anche sulla terra sia possibile vivere con la consapevolezza che c’è qualcosa che ci unisce al di là delle inevitabili differenze. Una casistica che distingue, separa, crea distinzioni e sottolinea possibili quanto inutili primati, non può avere a che fare con la vita, ma solo con la morte, con tutte quelle continue forme di morte che un potere cieco, stupido e spesso mal gestito dai maschi, continua a diffondere. Sottolineare il fatto che la resurrezione ci rende simili agli angeli non vuol dire annullare le differenze di genere, ma ricordare a tutti che c’è qualcosa che viene prima e che ci spinge in avanti verso il riconoscimento pieno della nostra umanità. Se imparassimo davvero a vedere nell’altro la sua realtà di figlio di Dio, allora molti problemi di disuguaglianza, anche di genere, avrebbero una soluzione che ci spingerebbe a costruire, con il contributo di tutti, maschi e femmine, una società finalmente differente e migliore.