Lo spettacolo del potere
Le testimonianze del passato ci parlano in abbondanza di re e regine e di quale ruolo sociale assumessero queste figure a seconda del variare del contesto storico: oggi non siamo più abituati a vedere il dispiegarsi dei simboli e delle liturgie regali, salvo la spettacolarizzazione di alcuni eventi come nel caso della recente morte della regina Elisabetta. Il fatto che vi siano sempre meno monarchie non vuol dire che il potere, oggi, abbia rinunciato ai suoi riti e alle sue narrazioni.
Ogni potere, anche se espressione di forme statuali democratiche, non può rinunciare all’apparato che ne permette la visibilità e l’affermazione: anzi, proprio la potenza dei mezzi di comunicazione ha ampliato questa esigenza e ne ha rafforzato lo sviluppo. Basti guardare alle laiche liturgie andate in scena a Bali durante il G20, l’incontro tra i capi di stato dei 20 paesi più industrializzati e potenti del pianeta. Siamo lontani dalla sacralizzazione della figura personale del monarca, ma rimane in tutta la sua evidenza la sacralizzazione e la celebrazione del potere in quanto tale: foto di rito, banchetti, incontri allargati e bilaterali, tutto svolto all’interno di un’aurea che sacralizza e rende lontano il potere dalla vita quotidiana. Intendiamoci subito, questi sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per governare le nazioni. Sappiamo benissimo che non ne possiamo fare a meno e che anche la forma ha un peso sostanziale in tutto quello che riguarda la diplomazia e il dialogo politico. Ma per mantenere la giusta prospettiva ed evitare di lasciarci attrarre dal cono di fascino delle manifestazioni esteriori del potere, manifestazioni che rischiano di consegnarci ad una visione parziale e distorta, abbiamo bisogno che qualcuno ci parli del potere in maniera del tutto differente.
La domenica che chiude l’anno liturgico, prima dell’inizio dell’Avvento, è dedicata alla solennità di Cristo Re dell’universo e il brano dell’anno C (Lc 23,35-43) offre proprio uno spaccato di come il potere di Dio prenda una forma sorprendernte agli occhi degli uomini.
La scena di Cristo in croce tra i due ladroni, ci vine raccontata da Luca come lo spettacolo della regalità di Gesù: come esercita il suo potere colui che è davvero re e che lo è per sempre, anche attraversando la morte? Rimanendo in mezzo agli uomini, esercitando il potere di condurre alla salvezza soprattutto morendo sulla croce. Come ha vissuto, così muore Gesù: scegliendo di rimanere in mezzo ai peccatori.
Il suo potere, quello che gli viene dall’essere Figlio di Dio, non è qualcosa che lo isola e lo allontana dagli uomini: scegliendo già nell’incarnazione la parte dell’umanità, Gesù conferma nel dono della sua vita, di stare completamente e senza ripensamenti dalla nostra parte. Il potere, perché rimanga espressione alta e nobile del vivere, senza degenerare nella forma parossistica della sopraffazione e dell’arbitrio, ha sempre bisogno di confrontarsi con il tema della sua origine, ma anche con quello della sua destinazione: a nome di chi si esercita un potere e in vista di chi e per che cosa lo si esercita? Gesù offre la sua risposta dalla croce rimanendo in mezzo a due ladroni, due malfattori che rappresentano l’intera umanità fatta di peccatori. Il potere di Dio è reso evidente in Gesù attraverso l’esercizio della misericordia che, prima di ogni altra cosa, non dimentica la necessità di prendere parte alla condizione degli uomini per essere resa credibile.
Il ladrone viene salvato dall’amore di Dio che si manifesta nel modo in cui Gesù sceglie di morire: non tutti capiscono, molti preferirebbero l’esercizio di un potere straordinario e ad effetto, quello di salvare se stesso scendendo dalla croce. Un potere che, diventando fine a se stesso e preoccupandosi solo della propria sussistenza, avrebbe perso di vista la possibilità di salvare gli altri a partire dall’ultimo dei malfattori, e quindi le ragioni fondamentali del proprio essere.
Se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe fatto spettacolo e avrebbe trasformato tutti i presenti da spettatori in sudditi: quel popolo che era rimasto a vedere non avrebbe avuto la possibilità di riconoscere che da spettatori è possibile diventare protagonisti della storia di salvezza, accettando di continuare a interrogarsi sul significato di un potere che rimane inchiodato alla croce per dire tutta la sua grandezza.
Se dal potere ci aspettiamo effetti speciali e magiche soluzioni ai problemi, vuol dire che ne abbiamo accettato la forma distorta. Se crediamo che il potere genera differenza e lontananza e percepiamo tutto questo come una realtà ricca di fascino, allora vuol dire che ci accontentiamo di rimanere semplici spettatori della vita. Se crediamo a un potere che pretende come diritto la possibilità di soddisfare ogni bisogno, vedremo realizzarsi ogni forma di abuso e sopraffazione. Cristo Re dell’universo, continuando a regnare dalla croce, offre a tutti la possibilità di condividere il potere del suo amore. Uno dei ladroni l’ha capito, non perché era buono, ma soltanto perché in un attimo ha percepito l’essenza della sua realtà: protagonista di un dramma in cui il potere salva e non condanna.