The show must go on (ma non così!)

The show must go on (ma non così!)

Sono iniziati i mondiali di calcio. Per noi italiani, in un periodo dell’anno piuttosto insolito e soprattutto senza la presenza della nostra nazionale. Diventa più facile sembrare distaccati e guardare a questa manifestazione con l’occhio del moralizzatore dell’ultima ora. Le critiche all’organizzazione e alle evidenti storture di un sistema che, per sole ragioni economiche, ha favorito l’assegnazione della kermesse a un paese lontano dalle forme di rispetto dei più elemetari diritti civili, andavano sostenute con forza più di dieci anni fa e non nelle ultime settimane.

Amo il calcio e credo che, insieme a tanti altri sport, sia uno degli strumenti narrativi più potenti della cultura contemporanea: dietro alle storie dei campioni, dei loro successi e delle loro disfatte possiamo ritrovare alcune delle linee fondamentali che costituiscono la trama del tessuto connettivo delle nostre società. In fondo, dietro a un avvenimento di sport e al modo di raccontarlo, ritroviamo, spesso amplificate, molte delle realtà che ciascuno di noi vive nella propria quotidianità: non siamo di fronte al semplice momento di svago, alla possibilità che un importante avvenimento sportivo possa costituire un diversivo alla monotonia; siamo di fronte piuttosto a un potente mezzo di proiezione collettiva che aiuta a rileggere e incanalare pulsioni e passioni.

Sono sempre meno le grandi narrazioni attorno a cui costruire, nel bene e nel male, un forte sentimento di coesione sociale: tra queste, il calcio e lo sport in generale risultano essere ancora una delle più vitali ed efficaci. Anche nelle sue evidenti storture e palesi esagerazioni, il calcio e il sistema che lo circonda, non sono altro che immagine fedele della società che lo produce, una società centrata sullo spettacolo e ricca di squilibri e tensioni.

In realtà, però, vorrei soffermarmi su un elemento in particolare che lega il brano di questa prima domenica di Avvento, secondo il ciclo liturgico dell’anno A (Mt 24,37-44), alla notizia da cui siamo partiti: il Vangelo di Matteo ci descrive una condizione iniziale nella quale uomini e donne vivono la propria vita nell’indifferenza rispetto alla possibilità che qualcosa possa cambiare. Manca la consapevolezza che il vivere sia limitato nel tempo e che prima o poi sarà chiesto conto dello stile scelto per spendere le nostre giornate. Non è importante esattamente cosa ci troviamo a fare, quello che conta risulta l’essere coscienti della nostra condizione umana. La differenza non la fa l’essere presi o l’essere lasciati, ma il vegliare, cioè il modo di condurre la nostra esistenza in attesa dell’incontro decisivo della vita.

Non possiamo vivere come se lo scorrere degli avvenimenti non ci riguardasse personalmente: la logica dello spettacolo che deve continuare è esattamente quanto messo in discussione dal Vangelo.  Possiamo anche guardare tutte le partite del mondiale, ma non possiamo fare finta che al mondo non vi siano cose più importanti e decisive per la sopravvivenza di tanti uomini e donne: mentre lo spettacolo corre sotto i nostri occhi non possiamo dimenticare ad esempio il sacrificio di tante vite umane per la costruzione di stadi imponenti in luoghi in cui non avrebbero nessuna ragione d’esistere. Allargando lo sguardo, non possiamo fare finta per un po’ che non ci sia la guerra e che in tante nazioni non si vivano scontri sociali devastanti: almeno un tempo, la saggezza degli antichi greci portava alla sospensione delle guerre durante il periodo di celebrazione dei giochi olimpici o di importanti manifestazioni.

La celebrazione dei mondiali di calcio, in un momento storico come questo, fa proprio vedere come il Vangelo abbia ragione a dire che si continua a vivere come ai tempi di Noè, continuando a fare le nostre cose, come se nulla fosse.

Da un lato questo è normale, dall’altro, però, non possiamo neppure evitare di fare i conti con l’ammonimento di Gesù: vegliate! Tenete gli occhi aperti per evitare che la vita diventi qualcosa che vi viene strappata dalle mani e non la realtà più bella e desiderabile da consegnare nelle mani di qualcuno.

La tendenza potrebbe essere quella di continuare a vivere come ai tempi di Noè, ma sarebbe stupido dimenticare che Gesù è venuto ad offrirci una prospettiva nuova. Vegliare, per il Vangelo, non vuole dire rimanere soltanto in attesa di qualcosa o qualcuno che verrà a cambiare le sorti della nostra vita; vuol dire saper coltivare uno sguardo sulla realtà capace di riconoscere e leggere tutte quelle cose che rimangono in attesa di un cambiamento per diventare davvero e profondamente umane.

Lo spettacolo vero, quello del ritorno del Figlio dell’uomo, deve ancora arrivare al suo compimento, ma per essere pronti ad accoglierlo non è davvero necessario che lo spettacolo del mondo continui sempre allo stesso modo.

La consapevolezza che la nostra vita è orientata all’incontro con il Risorto fa di noi persone che non possono abitare questa vita in maniera inconsapevole, neppure di fronte allo spettacolo del calcio e ai suoi effetti spesso narcotizzanti.

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