Incontrare il risorto – Mc 16,15-18
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro:
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il vangelo di oggi, proposto nella festa della Conversione di san Paolo apostolo, raccoglie i versetti conclusivi del racconto dell’evangelista Marco. Il contesto è significativo, soprattutto se si considera il versetto 14, non inserito nel testo proposto, nel quale Gesù che appare agli Undici che sono a tavola, li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore a non prestare fede…». Il Risorto, quindi, se la prende con i propri discepoli.
Il lettore è subito portato a pensare che coloro che non vogliono sentirsi rimproverare dal Maestro non hanno scuse valide: devono soltanto credere. Non è più tempo di perdere tempo. Il dubbio non è ammesso in Marco come lo è, invece, in Matteo.
Chi ha incontrato il Risorto diventa testimone e viene mandato ad annunciare la buona novella a tutta la creazione. Il contenuto di questa lieta notizia riguarda una battaglia ingaggiata con le forze di morte e una vittoria riportata sulle potenze del male, sul peccato attraverso il perdono e la misericordia divina.
Questa è la logica della fede: che essa precede, informa il vissuto che viene dopo e che sarà arricchito dei segni che avvengono e dalle cose meravigliose rese possibili dalla fede. Non sono, quindi, i segni a dare inizio alla fede, ma è il proprio il contrario. Nel tempo della pienezza l’atto più audace della libertà è la fede. Ed è, anche, l’atto più necessario di tutti.