Vuoto a rendere
Commentare il brano delle beatitudini è sempre molto complicato: in questa IV domenica del Tempo Ordinario (Mt 5,1-12) siamo posti di fronte al ritratto di Gesù, a colui che solo ha vissuto in pienezza quanto annunciato, all’unico che ha fatto delle beatitudini l’essenza della sua esistenza. Si è soliti ricordare che, nel Vangelo di Matteo, le beatitudini aprono il primo grande discorso di Gesù come una sorta di piano programmatico: in qualche modo tutto quello che seguirà dopo sarà una spiegazione di quanto contenuto in esse. Potremmo dire, allora, che le beatitudini rappresentano anche il programma di vita per un credente che voglia mettersi alla sequela di Gesù e del Vangelo. Proprio qui, però, sta il problema: se soltanto Gesù è colui che ha vissuto davvero lo spirito delle beatitudini, come possiamo dire che esse rappresentano una possibilità concreta anche per noi?
Possiamo partire dalla considerazione che in realtà le beatitudini descrivono una situazione già in atto: da un lato ci parlano della condizione dei buoni, di coloro che abitano la terra in un modo semplice e vigoroso allo stesso tempo, creando spazio alla presenza di Dio, pagandone spesso anche le conseguenze, dall’altro descrivono l’aggancio che proprio questa presenza realizza con il futuro del Regno, quella realtà espressa dalla serie di verbi al futuro che descrivono qualcosa che rimarrà per sempre e che non potrà più essere tolta.
Oggi non mancano coloro che sono nel pianto, basta entrare in qualche ospedale o frequentare famiglie colpite dal lutto come quelle dei tanti giovani che continuano a morire sulle nostre strade. Non mancano certo i miti, i tanti che con delicatezza non cercano la ribalta del successo, ma preferiscono lavorare nell’ombra perché le cose vadano bene e le persone possano sperimentare un po’ di serenità e felicità.
Non mancano coloro che hanno fame e sete della giustizia, come ci ricorda l’azione di chi ha saputo attendere trent’anni prima di vedere concludersi la latitanza di uno dei criminali più ricercati al mondo, ma anche e soprattutto, l’azione silenziosa di tanti volontari e non che cercano di rendere le carceri luoghi umanamente vivibili, dove le parole dell’articolo 27 della Costituzione abbiano ancora un senso.
La misericordia abita ancora le nostre terre, attraverso l’azione di coloro che sanno ricordare il passato, anche il più tragico come quello della Schoah, cercando di trasmettere il senso di una vita che comunque merita di essere vissuta sempre fino in fondo, perché misericordia non vuole mai dire dimenticare.
E poi i puri di cuore che, come ci ricorda l’esempio di coloro che sanno mantenere uno sgurdo pulito sul mondo, ci invitano a coltivare la speranza sugli uomini e a non cedere al pessimismo di chi crede che il male abbia già vinto.
Cosa dire degli operatori di pace che, nonostante i venti di guerra sempre più impetuosi, continuano a credere possibile la via della mediazione e del dialogo, anche a scapito della propria sicurezza personale: chi, in Ucraina, Russia e in tutti gli altri scenari di guerra, continua a offrire la propria mediazione, a metterci la faccia, per cercare di rendere almeno possibili le condizioni perché i contendenti si siedano a un tavolo e inizino a parlare di una pace davvero fattibile?
C’è poi chi per la giustizia è disposto a dare la vita, a non girarsi dall’altra parte, sapendo che ne pagherà le conseguenze: i tanti che rifiutano la corruzione, ma che non fanno mai notizia perché sono i corrotti a finire sui giornali.
Infine i cristiani che nel mondo vengono perseguitati, ma anche coloro che vivono in un silenzio forzato la propria fede, qui nel nostro mondo ricco di libertà, ma che a fatica tollera sempre di più la parola del Vangelo, una parola che lo mette in scacco e spesso ne smaschera le inconsistenze e le contaddizioni.
Quindi possiamo dire che il Regno è già all’opera perché tanti vivono le beatitudini e ci mettono davanti agli occhi la possibilità concreta di entrare anche noi in questa stessa logica di vita: nessuno può vivere tutte le beatitudini con la stessa intensità, ma a tutti è data la possibilità di sceglierne almeno una, di sentrine una vicina al cuore, per poter iniziare a conoscere in profondità il cuore di Cristo. Dalle beatitudini bisogna comunque passare per iniziare a conoscere concretamente chi le ha incarnate: essere suoi discepoli vuol dire accettare di passare da qui per sperimentare quella che diventerà una soglia tra la condizione mutevole del vivere e la possibilità di essere felici per sempre.
Qualcuno forse si sarà accorto che ho saltato la prima delle beatitudini, quella espressa al presente: beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. È la mia, quella che scelgo per questa stagione della vita, quella che scelgo per condividere un’ultima considerazione: non sono un povero in spirito, anzi. Sento però il fascino di questa proposta per la mia vita, oggi. Sento il fascino della proposta di svuotare il mio spirito di tutte le conquiste che penso di avere fatto, per lasciare spazio all’unico Spirito che riempie la vita e fa già fare esperienza del Regno di Dio. Sento il fascino di una proposta di povertà che profuma di libertà. Non penso che ce la farò mai, ma già soltanto l’idea di provarci mi rende un po’ più felice. Da qualche parte bisognerà pur iniziare.