Asini e mantelli

Asini e mantelli

La pagina di Matteo che introduce la processione della domenica delle Palme in questo anno A (Mt 21,1-11), presenta l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, facendo precedere alla narrazione degli eventi la spiegazione del perché Gesù scelga come cavalcatura un’asina con un puledro: come spesso capita in Matteo, si tratta di dare compimento alle Scritture, in questo caso una magnifica sintesi tra Isaia 62,11 e Zaccaria 9,9, per aiutare a comprendere come l’ingresso a Gerusalemme non possa essere confuso con forme superficiali di pura glorificazione umana. Gesù è il messia voluto da Dio e non quello acclamato dagli uomini: la mitezza della richiesta che chiede in prestito le cavalcature per poi restituirle, getta già una luce profonda sugli avvenimenti che seguiranno.

Il cavallo è l’animale da guerra per eccellenza, simbolo della forza e dell’azione, lo strumento per affermare la dignità regale sopra ai proprio sudditi. L’asino è un animale semplice, utilizzato per trasportare merci e persone, compagno del quotidiano e sostegno alle fatiche umane. Scegliere una simile cavalcatura per entrare a Gerusalemme vuol dire affermare un’idea di regalità totalemente rivoluzionaria, o meglio quella che Dio, nella Scrittura, aveva pensato originariamente per Israele: la regalità del servizio. Il messia non vuole affermare se stesso; desidera soltanto testimoniare la volontà di pace di Dio per l’umanità, desidera essere riconosciuto come colui che realizza la salvezza annullando ogni forma di violenza ed estirpando l’idea di un potere che divide e opprime.

L’Evangelista ricostruisce l’episodio dell’ingresso a Gerusalemme, idealizzandone i contorni, per iniziare a descrivere quello che Gesù andrà a portare a compimento nella vicenda della sua Passione: l’annullamento totale dell’idea che Dio possa salvare se non attraverso l’amore e il dono totale di sé. Nell’avanzare ciondolante dell’asina con il suo puledro si realizza, in figura, la scelta di non imporre la salvezza, ma di offrirla ad ogni uomo attraverso lo strumento della mitezza e della libera adesione.

La presenza della folla festante e delle grida osannanti sembra essere la descrizione preveggente di quello che sarà, in una sorta di anticipazione della gloria della resurrezione, piuttosto che la reale descrizione di quanto avvenuto alle porte di Gerusalemme: del resto, nel racconto della Passione vedremo come le grida di giubilo e accoglienza si muteranno presto in grida di disprezzo e di condanna, ma non è questo il punto. Qui, quello che l’Evangelista vuole mettere in luce è la gioia profonda alla quale l’umanità intera è invitata a prendere parte, nel momento in cui il progetto di pace di Dio viene accolto e lasciato entrare nella storia.

La nostra storia personale potrebbe cambiare e imboccare una strada di pace se accettassimo di percorrerla a dorso di un mulo: lo stile di Dio diventa la sostanza della nostra fede, non una delle possibilità attraverso cui darle forma.

Durante l’intera Settimana Santa saremo posti di fronte allo spettacolo straordinario di un Dio che si fa umile servitore dell’uomo, fino ad accettare la morte infamante della croce, pur di risvegliare in noi il desiderio di essere salvati dal suo amore. L’atteggiamento giusto per stare di fronte a questo spettacolo viene richiamato dalla seconda parte del Vangelo che stiamo commentando: tutti quelli che vedono passare Gesù si tolgono il mantello e lo stendono sulla strada davanti a lui, tagliano rami dagli alberi e li fanno diventare un tappeto vegetale che arricchisce il passaggio di colui che è re anche della creazione, oltre che degli uomini.

Per stare nel modo giusto di fronte alla Passione di Gesù è necessario privarci del mantello, abbandonarlo a terra al suo passaggio: il mantello era la proprietà più intima e personale di cui nessuno poteva essere privato. La legge stessa sanciva che si potesse tenere in pegno il mantello di qualcuno solo fino a sera, obbligando alla restituzione per evitare che vi fosse chi rimanesse privo di protezione e copertura durante la notte. Il mantello è dunque segno della personalità di ciascuno. Siamo invitati a lasciare da parte lo specifico di ciò che ci caratterizza e che ci tiene al sicuro, per assumere un atteggiamento di totale trasparenza: se vogliamo lasciarci graffiare e cambiare da quello a cui prenderemo parte nei riti della prossima settimana, dobbiamo essere disposti a rimanere nudi, accettando che un re umile a cavallo di un’asina calpesti le nostre certezze e metta in discussione con il proprio stile di servizio lo stile con cui affrontiamo la vita ogni giorno. Vale la pena, allora, concentrarci su quello che ci presenterà la Settimana Santa, senza lasciarci distrarre da troppe notizie, perché la notizia vera della settimana riguarderà ciascuno di noi e se accetteremo o no di lascirci toccare il cuore e la mente dalla debolezza, l’umiltà, la profondità del mistero della morte e risurrezione di Gesù, vera e unica forza e potenza di Dio.

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