Sete di vita – Gv 6,35-40
In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete.
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Tipico del vivente è di essere assetato di vita, di una sete particolare che non cessa mai. La vita spinge da dentro e da fuori chiama. Tutto ciò che uno fa dipende – in qualche maniera – da questo anelito.
Le parole di Gesù di questi versetti del quarto vangelo intercettano le profondità di tale desiderio con l’ambizione di essere risolutive, proprio perché decisiva è la posta in gioco. Cosa nutre davvero il mistero del vivere e dove si annida il senso di una esistenza degna dell’umana qualità?
La risposta più onesta è probabilmente che nulla del buono del vivere vada perduto. A sigillo di tale azzardo Dio mette in gioco non già qualche cosa, ma tutto se stesso. Il pane che nutre per la vita eterna è lui stesso. Il pane di vita, sono io, dice Gesù.
Non basta vedere per credere; questo non è possibile a questo livello, il più alto. Bisogna lasciarsi portare dal dono del Padre. Le parole di Gesù dicono la sua missione, totalmente al servizio della vita vera: «chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna».
Donazione e alterità si inverano a vicenda.