Caro cardo – Gv 13,16-20
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
Nel racconto dell’ultima cena i vangeli si discostano un po’ l’uno dall’altro. In particolare, mentre i tre sinottici (Matteo, Marco, Luca) raccontano l’istituzione dell’eucaristia, Giovanni narra un altro gesto di Gesù: la lavanda dei piedi.
Come l’eucaristia è sacramento, cioè luogo di incontro tra Dio e l’uomo, tra ciascuno di noi e l’amore stesso, così lo è anche il servizio agli altri, simboleggiato da Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Questo è il motivo profondo dell’umiltà a cui invita il maestro all’inizio del brano. Non si tratta di “stare al proprio posto e abbassare le orecchie”, ma di un atteggiamento intelligente e fiducioso: nel volto di colui che incontriamo è nascosto il cuore di Dio.
E Gesù lo esplicita: «chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». Questo è il principio dell’incarnazione: Dio e l’uomo fanno la pace, si incontrano, si abbracciano, donando così un senso a ogni cosa, consolando da ogni ferita, asciugando ogni lacrima. «Caro cardo salutis», diceva il padre della chiesa Tertulliano: la carne è il cardine della salvezza.
Non possiamo desiderare di incontrare Dio se non attraverso il nostro corpo, attraverso la nostra persona, attraverso il volto concreto di coloro che incontriamo nella nostra giornata.