Circolo virtuoso
Partiamo dal paradosso finale messo in luce dall’ultimo versetto del brano di Giovanni scelto per la domenica di Pentecoste anno A (Gv 20,19-23). Siamo abituati a sentire ripetere che il perdono è per tutti e che il perdono appartiene soltanto a Dio, qui invece si parla di un perdono che può essere amministrato dai discepoli e che può addirittura contemplare la possibilità che qualcuno ne venga escluso. Pare illogico pensare che, proprio nel momento in cui il Risorto compare in mezzo ai discepoli raccolti nel cenacolo, portando il dono della pace e annunciando la prosecuzione del suo mandato attraverso l’azione della chiesa, si lasci intendere che, in fondo, la misericordia possa essere questione affidata all’arbitrio di un manipolo di personaggi che non sempre hanno dato prova del meglio di sé.
Affidare a un gruppo di persone impaurite la missione più importante che caratterizza la possibilità di riconoscere la presenza di Dio nel mondo, non sembra una strategia funzionale, non appare la migliore delle opzioni possibili, soprattutto di fronte alla straripante inventiva di chi cerca di dimostrare che la via del perdono è comunque una via per falliti e sognatori. Come pensare, allora, in modo diverso a questo momento decisivo della storia della salvezza? Come provare ad uscire dalla mentalità utilitaristica che ci annebbia continuamente la vista?
C’è una dinamica naturale nella vita che dimentichiamo troppo facilemente quando cresciamo e pensiamo di essere diventati autonomi: ricevere è la condizione necessaria per aprirci alla possibilità di dare generosamente. Rendersi conto di avere ricevuto qualcosa ci apre alla possibilità di diventare creativi nel mettere a dispsizione la nostra vita e tanto più abbiamo ricevuto grauitamente, tanto più, rendendoci conto del dono, sapremo restituire con generosità.
Il modo con cui tanti giovani si sono resi disponibili per aiutare nel contesto di una tragedia molto più grande delle loro forze, come la tragedia delle alluvioni della scorsa settimana, e allo stesso tempo l’apertura dimostrata dalle tante persone che nel dolore di aver perso tutto non si sono chiuse nell’immobilismo, ma hanno reagito accogliendo gli aiuti offerti, descrive molto bene il circolo virtuoso che l’umanità sa esprimere al meglio quando al centro viene messo il comune sentirsi in relazione.
Quando si riceve con generosità è più facile ripartire anche dalle tragedie che lascerebbero intravvedere soltanto la fine. A differenza di quanto si crede, non è l’orgoglio che rimette in piedi ma la consapevolezza di sentirsi amati, cercati, sostenuti: in Romagna le cose ripartiranno come prima grazie all’orgoglio innato dei romagnoli, ma potranno essere davvero meglio di prima solo se chi ha perso tutto oggi, continuerà a sentire la vicinanza, l’affetto, l’aiuto degli altri, domani e dopodomani.
Chi riceve la vicinanza e la gratuità di una presenza desiderata ma insperata e inattesa, vedrà moltiplicarsi le energie per affrontare anche ciò che appare impossibile.
I discepoli possono ripartire in un’impresa più grande delle proprie forze, uscendo addirittura da ciò che li rende schiavi della paure, grazie alla presenza del Risorto che sta in mezzo a loro e che dona la pace attraverso lo Spirito: solo accogliendo il dono della presenza di chi desidera continuare una storia di relazione con loro, sentono di poter continuare a vivere, desiderano trovare un modo nuovo per donarsi totalemente. Perdonati da colui che hanno tradito e abbandonato, diventano testimoni credibili del perdono perché hanno accolto un dono.
Il contrasto da cui siamo partiti, allora, trova una ricomposizione proprio nel fatto che i discepoli, chiusi nel cenacolo, aprono il proprio cuore alla presenza dello Spirito, alla presenza di colui che ricorda loro il bene che hanno ricevuto: da qui possono rimettersi in moto, possono addirittura diventare soggetti attivi di ciò che sono chiamati a costruire e non più soltanto a ricevere. Sono fatti amministratori di perdono, non perché fonte di qualche diritto, ma semplicemente perché attraversati dal flusso dello Spirito. Non si dà altra forma di amministrare il perdono che genera relazioni libere e vere, se non attraverso la circolazione dello Spirito. Il fatto che i peccati siano o no perdonati non dipende dunque dalle misere capacità o dalle volontà ancora più povere di individui abilitati a farlo come un mestiere. Dipende soltanto dalla capacità degli uomini di rendersi conto di essere abitati dalla presenza dello Spirito, dalla forza d’animo che si sprigiona nelle persone che sono toccate profondamente dalla gratuità che non sanno spiegarsi ma che non esitano ad accogliere. É il circolo virtuoso della Pentecoste.