Al cuore si comanda – Mc 12,28-34

Al cuore si comanda – Mc 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

“Al cuor non si comanda”. Lungi da me criticare la sapienza popolare, ma questo detto non si applica bene a Gesù. Di più: non si applica perfettamente alla vita di ciascuno di noi.

Perché il vero amore, come scrive Kant nella “Critica della ragion pura”, deve essere comandato. Paradossalmente, «amerai!» è la chiave per la nostra libertà. Infatti, le più grandi difficoltà ad amare sono dentro di noi: paura, ansia di prestazione, ferite passate e timori futuri…

È (af)fidandoci al comando di amare che possiamo “liberarci da noi stessi” e davvero mettere in atto un gesto che vada al di là delle nostre voglie di oggi, delle nostre pigrizie quotidiane, dei nostri su-e-giù emotivi. Non si tratta di diventare degli algidi insensibili, tutti dediti al dover fare e basta.

Tutt’altro. Qui la faccenda sta nel decidersi, con ardore e passione, per ciò in cui crediamo. Se l’amore vince la morte, allora amare significa entrare nella “vita eterna”, cioè la vita piena, matura, fraterna. Amare non resta, quindi, un gesto da fare in base alla nostra volontà, ma diviene un comando, un dolce imperativo, che forza le catene della pigrizia che noi stessi forgiamo.

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