Dietro l’angolo – Mc 12,35-37
In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.
«Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide?». Risposta di uno scriba attento: «perché in 2Sam 7,12-14a leggiamo così: “quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu riposerai con i tuoi padri, io innalzerò dopo di te la tua discendenza che uscirà dalle tue viscere e stabilirò il suo regno. Egli edificherà una casa al mio Nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà un figlio”.
Ecco fatto. La Scrittura dice che uno della «discendenza» di Davide sarà «figlio» per YHWH. La risposta è semplice per uno scriba, il quale conosce bene la bibbia. Gesù non può non saperlo. Allora perché fa questa domanda?
La centralità della questione di Gesù, squisitamente rabbinica e un po’ lontana dalla nostra sensibilità occidentale contemporanea, sta in quel «Davide stesso lo chiama Signore». Come a dire: se il messia è figlio di Davide, perché lo chiama «Signore» e non – ad esempio – “figlio mio”?
Per la mentalità semitica, infatti, ogni generazione è in qualche modo peggiore di quella precedente. Lo dimostrano le lunghezze dell’esistenza dei personaggi biblici: si parte da vari secoli per i patriarchi (quasi un millennio per Matusalemme), per poi arrivare a cifre più umane e realistiche, nell’ordine di qualche decina di anni. Potremmo riassumere così: “i padri sono strutturalmente migliori dei figli”.
E proprio su questo vuole far riflettere Gesù: per Davide non è così. Egli chiama suo figlio «Signore». Forse Dio vuole insegnarci ad aspettarci sempre una bella novità (in greco: “vangelo”) dietro l’angolo. Forse, in barba al nostro cinismo, ci vuole incoraggiare a continuare a credere che le cose possono evolvere in bene (in italiano: “speranza”).