Nessuno indietro – Mt 5,20-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Un po’ consola, un po’ responsabilizza. Avviandoci al termine del capitolo 5 di Matteo, Gesù sembra “correggere un po’ il tiro”. Dopo aver parlato di un’esigenza radicale e totalizzante per essere discepoli del Padre (e lo fa anche oggi), introduce un elemento che fa tirare un po’ il respiro: la gradualità.
Sì, perché la vita è un «cammino» che facciamo tutti insieme, avendo accanto cari amici, ma anche qualche «avversario». E la gradualità non è semplicemente progressione privata o solipsistica – alla Rocky Balboa, che si prepara all’incontro con Ivan Drago ritirandosi in un cottage sperduto in mezzo ai boschi canadesi. Tutt’altro: la gradualità del vangelo è costituita dal tentativo di trovare un «accordo» con i compagni di strada.
Ovvero: è necessario accordare il proprio spirito con quello degli altri, letteralmente far suonare in armonia i cuori. Non si tatta semplicemente di trovare dei compromessi degradanti, ma dei ponti di comunione, dei semi di fraternità da far crescere.
Perché la vita non è una competizione, dove qualcuno vince se qualcun altro perde, ma un pellegrinaggio insieme. Non possiamo rassegnarci che qualcuno resti indietro, o che qualcuno venga «gettato in prigione».