Un denaro di dignità

Un denaro di dignità

Avercene di datori di lavoro così. La parabola dell’evangelista Matteo per questa XXV domenica del tempo ordinario anno A (Mt 20,1-16), ci presenta la correttezza di un Dio che non fa torto a nessuno.

Nel suo essere chiaro fin dall’inizio, nel suo formulare un contratto certo con i lavoratori della prima ora, come con quelli dell’ultima, assistiamo, nella figura del padrone della vigna, alla proiezione di un Dio che, uscendo a tutte le ore, cerca di mettere tutti nelle condizioni di poter vivere la propria esistenza al meglio.

Non importa quando si inizia, ciò che conta è incontrare chi ci offra un lavoro che dia dignità alla nostra giornata: ecco, appunto, la dignità. Quella che è mancata a quel datore di lavoro che ha preteso di pagare in nero 20 € un giovane, dopo averlo fatto lavorare per sei ore nel proprio locale. La notizia, uscita dopo che il video, realizzato di nascosto dal giovane stesso, ha documentato la cosa in presa diretta, è stata verificata dai quotidiani locali. Già si tratterebbe di una cosa grave il fatto che si parli di lavoro nero, ma ciò che rende odioso il tutto è che offrendo circa 3 € all’ora si arrivi allo sfruttamento più bieco, dove l’avidità di guadagno non può essere scambiata con la necessità di tenere in moto l’economia.

Come possiamo pretendere che i più giovani si affezionino al mondo del lavoro se queste sono le condizioni con cui si affacciano alle prime esperienze lavorative? Come possiamo pensare che cresca il senso di giustizia e la voglia di mettersi in gioco da parte delle nuove generezaioni se la logica che dovrebbe inserirli nel mondo degli adulti è così malata e incapace di prendersi una qualche responsabilità?

La cosa che tocca e stupisce è che di fronte ad un imprenditore che perde la propria dignità, in quei 20 € sbandierati in faccia a quel ragazzo, c’è l’impossibilità di vedere riconosciuta la dignità di chi vorrebbe provare a costruirsi un futuro.

Proprio una storia sbagliata, proprio una storia che racconta di come non dovrebbe andare il mondo, una storia alla rovescia che purtroppo descrive in maniera paradigmatica la fatica di tanti giovani che non riescono più a prevedere come potrà andare la propria vita tra qualche anno.

Tanti dicono che di lavoro in giro se ne trova e che in molti casi sono proprio i giovani a rifiutarlo, per pigrizia o per incapacità di fare i conti con la fatica. Ma siamo sicuri che sia proprio così?

Forse a mancare è chi sia capace di motivarli davvero offrendo loro non tanto del denaro, ma la possibilità di iniziare a vedere riconosciuta la propria dignità.

Basterebbe offrire il giusto, né più, né meno, ma iniziare a farlo con la lucidità di chi vuole davvero investire sul futuro senza speculare nel presente.

Da ragazzo la parabola degli operai nella vigna la trovavo davvero fastidiosa, ritenendo l’atteggiamento del padrone ingiusto e incapace di riconoscere il merito: quante volte ho dovuto rileggerla per potermi finalmente accorgere che non è così. Il padrone è davvero buono perché non si limita a fare un ragionamento economico, ma perché sa vedere in prospettiva, sa investire sulla dignità delle persone rimettendole in condizione di guardarsi allo specchio e poter dire: «Anch’io valgo qualcosa!».

Il Vangelo non è antieconomico; ci prospetta un tipo di economia che fa del capitale umano il suo tesoro più grande.

Dio sa bene come investire il proprio denaro e vuole che tutti, non importa secondo quali tempi, abbiano la possibilità di incontrare il Vangelo, la sua Parola, che, in ogni momento della vita, solleva e ridona dignità.

Se partiamo sempre e soltanto dal modo che gli uomini hanno di concepire il merito, ogni ragionamento che esuli dallo stretto piano del già percorribile pare sempre fuori luogo. Se proviamo, per una volta, a riflettere a partire da come Dio concepisce il merito, allora la prospettiva cambia: per Dio il merito non dipende dal lavoro che ciascuno fa, ma dal fatto di lasciarsi incontrare dalla sua proposta. Questo può avvenire ad ogni ora e in ogni circostanza e se non ci lasceremo affliggere dal risentimento perché convinti di non essere valorizzati abbastanza, potremo continuare a gioire del fatto che Dio non smette di chiamarci suoi amici.

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