La vigna e l’erede

La vigna e l’erede

Incontentabili, insaziabili, sempre alla ricerca di qualcosa in più. Non si tratta del legittimo desiderio di aspirare al meglio per la vita, ma di un irrefrenabile impulso a possedere. Così vengono descritti i contadini a cui viene affidata la vigna nella parabola che ci offre questa XXVII domenica del tempo ordinario, anno A (Mt 21,33-43). Così vivono tante persone incapaci di accontentarsi di quello che hanno raggiunto o, meglio, di godersi quello che la vita gli mette a disposizione. Lo spunto di cronaca che meglio chiarisce questo concetto ci viene dalle tante situazioni di importanti famiglie dell’alta imprenditoria chiamate a definire la successione dopo la morte dei padri fondatori. Che ci siano discussioni legate alle successioni testamentarie non dovrebbe stupire, mi pare del tutto normale. Quello che non sembra normale è la guerra intestina tra parenti, scatenata dall’incapacità di mettersi d’accordo. Per essere chiaro faccio riferimento, ad esempio, al caso Del Vecchio o alla successione in Esselunga. Si dirà, è normale trattandosi di milioni se non addirittura di miliardi di euro. Purtroppo, però, la cosa si verifica spesso per cifre molto più ridicole e per beni di minore importanza, nella vita di tante famiglie, di tante persone che pur avendo già a disposizione i mezzi per vivere, preferiscono distruggere legami e affetti, di fronte alla possibilità di possedere qualcosa in più: il tutto mascherato, naturalmente, dietro alla richiesta sacrosanta del rispetto della giustizia. Non voglio banalizzare lo sfondo di vere e proprie tragedie famigliari, ma mi ha sempre fatto riflettere come di fronte alle possibili eredità si finisca spesso per perdere la testa, o almeno la misura e il buon senso.

I contadini che avevano già il diritto di poter usufruire dei frutti della vigna, si fanno irretire dalla convinzione di poter diventare gli unici eredi, gli unici possessori di un bene che avrebbe già di per sé avuto la possibilità di mantenerli in vita.

La follia dell’unico è quella che spesso finisce per amareggiare la vita di tanti: il non riuscire ad accettare che si può vivere la propria unicità senza screditare o distruggere quella degli altri.

I contadini non capiscono che i servi inviati dal padrone non sono persone che possano mettere a rischio il loro ruolo; non sono antagonisti, nemici che vogliono portare via il necessario per vivere. Sono solo rappresentanti di un Dio che chiede di poter raccogliere i frutti di quello che lui ha piantato, perché possano diventare bene comune a disposizione dell’umanità. I contadini non capiscono le intenzioni del loro padrone, non comprendono che dietro alla richiesta della raccolta dei frutti c’è anche per loro la possibilità di poterne usufruire. Non riescono a cogliere la follia del proprio progetto, perché accecati dalla malattia del guadagno a tutti i costi.

Non rimangono disarmati neppure di fronte al candore con cui il padrone continua a mandare inviati perché si ravvedano; anzi, si rinforzano nella propria assurda macchinazione proprio nel momento in cui vedono apparire il figlio. Pensano di poterlo uccidere, di farlo sparire, di risolvere tutto diventando loro gli eredi. Può, da un atto scellerato, nascere qualcosa di buono?

Da parte degli uomini sicuramente no. Infatti i contadini saranno miseramente messi a morte, spazzati via, ridotti a quello che loro stessi hanno generato, solo morte e violenza.

Da parte di Dio, però, la morte violenta del figlio, si trasforma in occasione del possibile riscatto per tutti i popoli, per tutte le genti: la pietra scartata dai costruttori diventa testata d’angolo, cioè la pietra principale su cui si regge la costruzione del progetto di salvezza di Dio.

Non si può essere davvero eredi con la violenza: lo si diventa, accettando, prima, di essere figli, accettando che la vita non è mai tolta se si è disposti ad offrirla per primi.

Gesù, con l’annuncio della sua morte e resurrezione, sviluppato attraverso il racconto di questa parabola, ci mette in guardia dal rischio di diventare come quei contadini che per non avere capito di essere già parte di una storia di salvezza universale, hanno preteso di tenere tutto per loro il dono di grazia che avevano già a disposizione. Proprio come quelle persone che, per avidità di guadagno, dopo aver ereditato fortune di cui magari già dispongono, si rovinano la vita in attesa di fare fuori tutti gli altri eredi per diventare un po’ più ricchi. Dio ha un solo erede, un unico figlio: lo invia a ricordarci che noi non lo siamo, ma possiamo diventarlo se smettiamo di ragionare come contadini folli alla ricerca di un’eredità che non ci spetta.

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