Solo l’inizio

Solo l’inizio

Ci sono inizi davvero sorprendenti, degli inizi che sembrano quasi delle conclusioni tanto sono poderosi e completi: si ha quasi l’impressione che si sia visto tutto quello che c’è da vedere. All’inzio del Vangelo di Marco, il brano scelto per questa II domenica del tempo di Avvento anno B (Mc 1,1-8), ci viene presentato Giovanni Battista come messaggero che proclama un battesimo di conversione per il perdono dei peccati: l’esito di questo annuncio pare formidabile, tutti gli abitanti della Giudea vengono a confessare i propri peccati e a chiedere perdono. Cosa si vorrebbe di più?

Non si ricorda sempre che c’è bisogno di conversione, di cambiare mentalità, di percorrere vie nuove e di ragionare in modo diffrente? Non lo abbiamo sentito urlare dalle piazze in questi giorni, non lo sentiamo ripetere continuamente sui giornali e attraverso i media?

Ma a cosa serve davvero la conversione a cui ci invita Giovanni?

Certo si tratta di riconoscere i proprio peccati, di ammettere le proprie storture nel modo di pensare e di agire, di gridare anche pubblicamente i propri errori, riconoscendo una dimensione sociale del peccato che oggi fatichiamo sempre di più ad accogliere, ma se ci fermassimo soltanto a questo avremmo fatto solo una parte del lavoro, anzi ci saremmo fermati soltanto all’inizio. Se riducessimo il tutto a una sorta di denuncia collettiva in cui tutti sentissimo la necessità di fare ammenda rispetto al passato o a certe dinamiche della società, vivendo la dimensione di un rito collettivo purificatore, senza però accettare la ovvia conseguenza di fare seriamente i conti con la nostra responsabilità personale, saremmo destinati presto a dover ammettere l’impossibilità di un vero cambiamento.

Ma anche nel caso si riducesse tutto a una conversione intima e personale, frutto di una decisione volontaristica, dovremmo presto riconoscere che questo ancora non basta per trasformare davvero una società. Abbiamo visto tante volte inizi davvero promettenti, movimenti di popolo animati da un sincero desiderio di cambiamento, trasformarsi poi in stanco ripetersi di slogan e vane parole.

Giovanni, con il suo coraggio e la sua radicalità, ci trascina a riconoscere che quello che lui può offrire è davvero solo l’inizio di qualcosa di molto più grande di lui. La possibilità che mette a disposizione delle persone di confessare i loro peccati, non è la conclusione di un percorso di vita, è l’inizio di una possibilità nuova.

Giovanni non si limita a godere del proprio successo personale, ad andare all’incasso di un successo straordinario ottenuto sulla base di una incredibile risposta emotiva della gente: Giovanni vuole destare tutti dal loro torpore per invitarli a credere che la sua proposta è soltanto l’inizio di un cambiamento possibile. C’è qualcosa di molto più grande rispetto al riconoscersi poveri e peccatori, c’è l’invito ad accogliere e vivere la dimensione dello Spirito, la vita dei figli di Dio. Il confessare i propri peccati e le proprie storture è solo l’inizio necessario del cammino, ma se non si riconosce che c’è bisogno dell’incontro con qualcuno di molto più grande di noi, allora si rischia di fermarsi solo al dato emotivo di chi desidera un cambiamento senza però volerlo davvero.

La voce di uno che grida nel deserto ci invita a guardare al Natale, a distanza di qualche settimana, non come alla festa in cui essere più buoni, magari riconoscendo anche qualche errore personale, ma come alla rinnovata possibilità di accettare una vera conversione che ci rimetta in cammino.

Non abbiamo bisogno di un tempo in cui sospendere la nostra relazione con la realtà: un periodo dell’anno in cui astrarci dalla fatica e dalle brutture della vita quotidiana. Non abbiamo neppure bisogno di una falsa speranza che ci porti a credere che almeno qualche volta si possa essere migliori di come si è normalmente. Non possiamo fidarci neppure dei nostri sentimenti, di una emotività che ci porta a facili entusiasmi, a farci paladini della causa comune del giorno, salvo poi riconoscere che tale causa, in fondo non ci appartiene perché non la sentiamo veramente.

Gli inizi troppo eclatanti hanno sempre bisogno di un Battista che li riporti alla verità di quello che sono: soltanto un possibile inizio.

Vedere finalmente quello che siamo è già tanto, ma questo non potrà mai sostenere un cambiamento duraturo e concreto: abbiamo bisogno di aspirare a qualcosa di alto, a quello che possiamo diventare, per reggere una vera trasformazione. Per mettere in moto questo processo dobbiamo fidarci del Battista e riconoscere che siamo in attesa di incontrare qualcuno che ci insegni come essere pienamente umani alla maniera di Dio. Sarebbe bello pensare, almeno per questa volta, che il Natale non sia la conclusione di questo periodo di Avvento, ma soltanto l’inizio di un incontro che potrà cambiarci la vita.

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