Lasciare e imparare a togliere

Lasciare e imparare a togliere

Mi ha sempre affascinato il tema del lasciare: cosa è necessario perdere, lasciare, mettere da parte per realizzare un progetto, un’opera d’arte, in fondo una vita intera davvero compiuta.

La nostra è una società dell’accumulo: facciamo i conti con la quantità di cose che riusciamo a mettere insieme e siamo soliti parlare dell’affastellarsi di esperienze come di un valore, come qualcosa di fondamentale nel cammino di formazione. Poche volte, però, ci fermiamo a valutare l’importanza delle realtà che è necessario imparare a lasciare, di quanto sia fondamentale, nella capacità di scelta, avere consapevolezza di un processo inevitabile legato al mettere da parte qualcosa per essere pienamente dentro a quello che si sta vivendo.

Ai più sembra logico costruire una vita pensandosi vaso vuoto da riempire, più difficile, oggi, pensarsi, come faceva Michelangelo di fronte a un blocco di marmo di Carrara, materiale grezzo da scavare e privare di tutto quello che copre e nasconde la bellezza di un’opera che c’è già.

L’importanza delle esperienze rimane fondamentale, non è questo che si vuole mettere in discussione, ma ragionare attorno al tema del lasciare e del togliere, vuol dire, in realtà, riflettere attorno alla centralità del tema della scelta. In fondo ciò che ci rende davvero umani è proprio la possibilità di scegliere che esprime la qualità del nostro rapporto con la libertà: non esiste, però, una scelta davvero libera se non c’è anche consapevolezza di quello che si sta lasciando.

La ricerca di un bene superiore comporta sempre iniziare a ragionare su quello che si deve mettere da parte. Non si può arrivare a una sintesi positiva accumulando tutto, avendo la pretesa che il nostro tutto sia accettato dagli altri e non finisca per appesantire, in maniera irreparabile, perfino la nostra stessa vita.

Nei processi di pace di cui si parla in questi giorni, purtroppo, mi pare che non si riesca a mettere a fuoco proprio questo tema: non esiste pace possibile se almeno uno dei contendenti non inizia a dichiarare apertamente a cosa è disposto a rinunciare in vista di un bene superiore. All’orizzonte, mi pare, non si intravede questa possibilità e per questo ogni discorso sulla pace appare generico e destinato a dissolversi. Fino a prova contraria, rimango dell’idea che soltanto da un serio ragionamento sul lasciare sia possibile costruire un vero cammino di pace. Mi sembra che nessuno, fino ad ora, nei vari scenari di guerra, abbia posto seriamente la questione su cosa sia disposto a lasciare da parte per iniziare a discutere realmente di pace.

Così va il mondo, nella logica di un sentire comune che vede nel lasciare un gesto di debolezza, il classico modo di ragionare dei perdenti.

L’inizio del racconto della missione pubblica di Gesù, secondo il vangelo di Marco, che ci viene proposto in questa III domenica del tempo Ordinario, secondo il calendario dell’anno B (Mc 1,14-20), mette a tema il fatto che non esiste un vero inizio se non si è disposti a lasciare qualcosa. Lo fa invitando tutti alla conversione, che è anche sempre cammino di semplificazione ed essenzialità da percorrere sulla strada verso il Regno, ma lo fa presentandoci casi concreti: il Battista sta rinunciando perfino alla propria libertà pur di vivere nella verità e lasciare spazio al messia; Gesù stesso rinuncia alla sua quotidianità di Nazaret per mettersi in cammino lungo le strade della Galilea; i primi quattro discepoli possono rispondere liberamente alla chiamata e in modo repentino, perché sono disposti a lasciare le reti, un lavoro sicuro, i garzoni e il padre, gli affetti di una vita. É questo loro lasciare che li porterà alla pienezza della propria vocazione, a diventare pescatori veri, uomini pienamente realizzati.

Dietro alle rinunce vere del Battista, di Gesù e dei primi discepoli, c’è la consapevolezza che per scegliere il bene o si è disposti a rinunciare a qualcosa di buono o non si sta facendo davvero una scelta per la vita.

Rischiamo di rimanere opere incomplete se non accettiamo di essere lavorati fino in fondo dall’artista che ci ama e che vuole fare di noi un vero capolavoro: siamo opere incomplete se pensiamo di costruire la nostra vita accumulando cose ed esperienze senza mai rinunciare consapevolmente a qualcosa, a qualcosa di buono per un bene superiore. Soltanto lo scegliere il bene ci aiuta a diventare capaci di scegliere un bene maggiore, ma non si può imparare davvero a scegliere se non si impara a fare i conti con il lasciare.

Se non abbiamo ancora lasciato davvero qualcosa che pensavamo essere importante per la nostra vita, pur di andare dietro a lui, allora non abbiamo ancora fatto esperienza di cosa significhi davvero scegliere di camminare insieme a lui.

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