L’onestà dell’amicizia

L’onestà dell’amicizia

«Nessuno è un’isola: quando si distrugge il volto dell’altro, si dissolve anche il nostro, specialmente nell’era di interconnessione globale in cui viviamo. Se affondiamo, affonderemo insieme, nella stessa barca». È una riflessione destinata a restare, quella che il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, ha pronunciato giovedì all’università Lateranense.
«Quanto sta avvenendo in Terra Santa è una tragedia senza precedenti. Oltre alla gravità del contesto militare e politico, sempre più deteriorato, si sta deteriorando anche il contesto religioso e sociale. Il solco di divisione tra comunità, i pochi ma importanti contesti di convivenza interreligiosa e civile si stanno poco alla volta disgregando, con un atteggiamento di sfiducia che invece cresce ogni giorno di più. Un panorama desolante».
Il cardinale, tra l’altro, si sofferma sul ruolo e il rapporto tra le religioni: «Le diverse fedi, se intese nella loro genuinità e nella loro vocazione profonda, sono portatrici di risorse di riconciliazione e di pacificazione e non rappresentano quasi mai la sola o la principale causa scatenante delle incomprensioni e dei conflitti, né costituiscono di per sé un fattore di rischio in questo senso. Ma se diventano funzionali alla lotta politica, come spesso accade in Terra Santa, le religioni diventano come benzina gettata sul fuoco»… Il tono del cardinale è desolato: «Mi sono chiesto più volte, in questi mesi, se la fede in Dio sia davvero all’origine del pensiero e della formazione della coscienza personale, creando così tra noi credenti una comprensione comune almeno su alcune questioni centrali della vita sociale, oppure se il nostro pensiero si formi e si basi su altro». La situazione tra le tre religioni abramitiche è desolante: «Il mondo ebraico non si è sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara. I cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati, e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre… Insomma, dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro. È per me, personalmente, un grande dolore, ma anche una grande lezione».

Le amare considerazioni del patriarca di Gerusalemme sulla situazione in Terra Santa diventano, per contrasto, il commento più forte e più vero alle parole di Gesù nel vangelo di questa VI domenica del tempo di Pasqua (anno B, Gv 15,9-17). Dove si forma il nostro essere credenti? La fede in Dio è davvero all’origine del pensiero e della coscienza personale, oppure è soltanto una spruzzata di pura forma gettata su ben altri riferimenti e interessi? La risposta pare scontata soprattutto se continuiamo a vivere da servi. La proposta che il Vangelo ci invita a cogliere è quella di diventare amici, confidenti di Gesù, persone disposte a giocarsi sulla relazione con lui. Se perfino tra cristiani non riusciamo a uscire dalla logica di una vita vissuta nella servitù degli idoli, del potere, della sopraffazione, della discordia, della divisione, diventa molto difficile pretendere che altri possano credere in un dialogo possibile. Diventa difficile pensare che le religioni possano diventare quello che sono chiamate a essere: portatrici di risorse di riconciliazione e di pacificazione.

Eppure Gesù continua a chiamarci amici: dobbiamo sempre ricordarci che queste parole vengono pronunciate nel contesto dell’ultima cena, nel momento drammatico dell’addio, quando tutto sembra perduto, quando sembra impossibile riuscire a pronunciare parole del genere. Proprio in questo contesto Gesù lascia intravedere che c’è un modo per continuare a essere suoi amici, per continuare a essere persone libere che credono alla possibilità di amare: ascoltare le sue parole, ascoltare l’unico comandamento che non crea schiavitù e imposizione, ma soltanto verità e libertà.

I cristiani per quanto complici del male e assuefatti a circostanze negative che sembrano non potere mai cambiare, devono continuare a credere nelle parole del maestro, devono continuare a ripetersi che, nonostante tutto, sono stati scelti, chiamati a diventare amici e non a rimanere schiavi del male.

Più che continuare a chiederci cosa dovrebbe cambiare nell’altro, nel vicino, nello straniero, nel non credente, in chi crede in un’altra religione, chiediamoci con onestà se ci fidiamo di Gesù, se abbiamo ancora voglia di lasciarci scegliere per essere suoi amici, se lasciamo che siano le sue parole a formare davvero la nostra coscienza. Chiediamocelo con onestà, la stessa cruda onestà con la quale si è messo in gioco il cardinale Pizzaballa.

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