In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Gesù ha raggiunto fama ed ammirazione, tutto sembra procedere secondo il programma atteso della manifestazione del Messia e della sua ascesa al potere. Ma proprio sul più bello, Gesù smorza l’entusiasmo dei suoi discepoli, affermando in modo categorico che la sua missione non seguirà il percorso da loro immaginato, ma si realizzerà attraverso l’abbassamento del consegnarsi nelle mani degli uomini.

Non è strano che i discepoli non capiscano: è un totale rovesciamento rispetto all’attesa di tutto il popolo d’Israele in cui sono cresciuti. E umanamente non è nemmeno così strano che abbiano paura di chiedere chiarimenti: finché resta il dubbio di aver capito male queste parole misteriose di Gesù, resta la speranza che le cose alla fine possano andare secondo le loro aspettative.

In questo modo, però, le strade di Gesù e dei discepoli di fatto si dividono: Gesù prosegue determinato per la sua strada e i discepoli continuano fisicamente a seguirlo, ma sono da un’altra parte con la testa e il cuore, come diventerà evidente la notte dell’ultima cena.

E noi? Come ci poniamo davanti al Dio che dice di amarci profondamente e ci promette di non lasciarci mai soli quando la vita, con le sue situazioni a volte difficili e dolorose, sembra dire il contrario? Anche noi taciamo, per paura di quello che potremmo scoprire, o abbiamo il coraggio di interrogare Dio, anche in modo insistente e perfino esternando la nostra frustrazione e rabbia?

Non lasciamo cadere il silenzio sulle nostre incomprensioni; rischiamo anche noi di separare la nostra strada da quella di Dio.