Una pietra sopra – Lc 11,47-54

Una pietra sopra – Lc 11,47-54

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Compito dei genitori è donare ai figli la parte migliore del loro passato; purtroppo ciò che viene lasciato alle generazioni future non sempre è il meglio. In quell’edificio che è la nostra vita, di tanto in tanto, rintracciamo lesioni, la cui origine affonda così profondamente da non poter essere più seguita. A volte le crepe sono così profonde da far crollare tutto.

Il monaco trappista André Louf afferma che uno dei segni della maturazione nel cammino dell’uomo è l’umiltà a costruire accanto alle proprie macerie, lì dove, per “macerie”, si intendono tutti gli edifici personali e relazionali rovinati al suolo, e non sempre per sole responsabilità personali.

Saper guardare con carità alle debolezze di chi ci ha generato rappresenta il primo passo per poter riedificare altrove su basi nuove. L’alternativa è il “metterci una pietra sopra”, cioè costruire sopra le macerie, come a voler nascondere per la vergogna.

Non si tratta di mettere altezzosamente a nudo le fragilità dei nostri genitori, ma del sentirsi così fortemente intrecciati a loro da considerarsi in parte responsabili di quelle lesioni e chiamati a darne conto.

Come ci ricorda S. Paolo (1Cor 13,7), «la carità tutto copre», ma non per occultare o mistificare; è il farmaco posto sulla ferita per farla guarire.

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