Bulli

Bulli

Ci indigniamo con estrema facilità di fronte alle cose e alle situazioni che non ci piacciono: siamo maestri nel far notare le incoerenze altrui e abbiamo una spiccata capacità di fare prevalere la nostra giustizia e la nostra prospettiva come metro di giudizio della realtà che ci circonda. Pensavamo di esserci liberati da pregiudizi e finti moralismi e invece ci troviamo sempre più invischiati nella legge dei social dove tutti sono sempre in gara con tutti e dove ciascuno cerca di vendere se stesso meglio che può.

Di fronte al dramma di un adolescente che si toglie la vita perché oggetto di vessazioni e bullismo da parte di coetanei, il caso avvenuto a Senigallia, fioccano le interpretazioni sulla situazione delle giovani generazioni sempre più violente, incapaci di provare empatia, da un lato, e di tollerare le frustrazioni dall’altro. Si sprecano i dibattiti e gli approfondimenti su una società incapace di trasmettere i valori, sulle difficoltà del mondo degli adulti di interpretare il malessere che serpeggia a ogni livello e sull’incapacità della scuola di affrontare i veri problemi del vivere – come se la scuola potesse fungere da supplente in tutti i campi dell’esistenza.

Ci si illude di trovare delle risposte sempre al di fuori di noi, pensando che sia il sistema a dover fornire le soluzioni a cui, poi, eventualmente, adeguarsi.

Nel vangelo di Mc scelto per questa domenica, al capitolo 10 (Mc 10,35-45 XXIX domenica del tempo ordinario, anno B), ci troviamo di fronte allo stesso atteggiamento sdegnato che ben conosciamo: quello dei dieci discepoli che di fronte alla domanda di Giacomo e Giovanni di poter ottenere i posti di onore alla destra e alla sinistra di Gesù, quando entrerà nel suo Regno, reputano inaccettabile l’essere stati messi da parte e in secondo piano. Li muove il risentimento, non l’intima sete di giustizia. Si sentono messi da parte, svalutati all’occhio del maestro: sono convinti che l’atteggiamento dei due fratelli sia una pericolosa distorsione che metta a rischio la tenuta del gruppo, ma non si accorgono di essere divorati dalla medesima ambizione e dall’incapacità di leggersi dentro, di riconoscere il male che li sta attraversando.

Gesù accoglie senza indignazione la richiesta di Giacomo e Giovanni e assume un atteggiamento di comprensione profonda anche nei confronti degli altri discepoli: li chiama tutti a sé, li raccoglie come farebbe la chioccia con i propri pulcini, per rassicurarli, ma anche per consegnare loro una chiave di lettura differente, una possibilità vera e concreta per uscire dalla distorsione del risentimento.

La risposta vera non sta nel giudizio che continuamente proietti fuori di te: è necessario fare i conti con il modello di grandezza che lavora dentro al tuo cuore. Se tutto si basa sulla logica del confronto e della competizione continua, possiamo tranquillamente sbandierare presunti valori teorici, ma la tua vita e quella di chi ti sta vicino, sarà continuamente sottoposta a valutazioni pesanti, prive di misericordia, in un continuo e drammatico gioco a perdere di bulli che rincorrono le proprie prede fino a quando non diventeranno a loro volta prede di qualcuno.

Tra voi non è così: tra noi sappiamo che può essere diverso perché abbiamo conosciuto che c’è un modo per uscire dalle oppressioni esteriori e da quelle che imponiamo noi stessi alla nostra interiorità. Questo modo è quello di farsi servi gli uni degli altri.

Come possiamo pretendere che i ragazzi smettano di essere violenti se attorno a sé trovano un mondo che a parole professa la bellezza di certi valori che sistematicamente disconosce nella pratica dei fatti?

Ogni adulto dovrebbe chiedersi quanto creda davvero al servizio, quanto sappia stare di fronte ai più giovani con l’onestà di chi si vuole spendere nel dono di sé.

Le parole del Vangelo di questa domenica, non sono una generica esortazione a un impossibile cambio radicale di mentalità: sono, ancora una volta, un delicato invito, prima di tutto rivolto ai credenti, ma poi a ogni uomo di buona volontà, a guardarsi dentro per scoprire che il cammino di conversione va mantenuto sempre in atto.

Smettiamola di essere sdegnati nei confronti della società che ci circonda, rivolgiamo piuttosto le nostre energie interiori a riconoscere che il male che la sta attraversando è quello di una smodata ricerca di visibilità e autoaffermazione che avvelena anche la nostra quotidianità.

Continuiamo a essere noi adulti i bulli che rovinano le vite dei nostri ragazzi ogni volta che lasciamo intendere che la realtà è ben diversa da quello che si insegna di buono nella teoria.

Quando lasciamo intendere che sopravvive solo il più forte e che questa, alla fine, è la regola che manda davvero avanti le cose, accettiamo che i fragili e i deboli vengano abbandonati a loro stessi. Ci nascondiamo dietro allo sdegno della denuncia, ma continuiamo a coltivare la cattiva coscienza di chi alla fine la pensa proprio come i bulli di periferia.

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