Due monetine
Tanti ricchi gettano molte monete nel tesoro, mentre una povera vedova vi getta due monetine che fanno un soldo: questa è la scena che Gesù osserva insieme ai suoi discepoli stando seduto nel tempio. Il brano della XXXII domenica del tempo ordinario anno B (Mc 12,38-44) conclude il capitolo dodicesimo del vangelo di Marco facendo da introduzione all’ultimo discorso di Gesù, quello escatologico, prima del racconto della Passione. La vedova viene allora presentata da Gesù stesso come anticipazione e figura di quello che lui stesso andrà a realizzare: il dono completo di sé, senza riserve. In maniera sorprendente quella che sembrava essere la descrizione di un gesto straordinariamente nobile, diventa molto di più: la descrizione stessa dell’agire del Figlio di Dio chiamato alla fiducia piena nel Padre. Attraverso la figura della vedova, Gesù spiega la sua morte e resurrezione prima di viverla, fornisce ai suoi discepoli una chiave di lettura fondamentale per poterla capire.
Attraverso il gesto sorprendente di questa povera donna, Gesù parla anche della vita dei credenti alla luce della resurrezione: abbandonarsi alla fiducia piena in Dio Padre, non è realtà propria e comune delle dinamiche di questo mondo. Offrire se stessi nella convinzione che sarà Dio a prendersi cura di noi, al di là della nostra miseria, della nostra povertà, chiede la forza della speranza e non la debolezza della rinuncia. La vedova non si rassegna all’idea di dover morire consegnando le uniche monetine a sua disposizione, decide, invece, di metterle al sicuro e affidarle all’unico che le saprà comunque trasformare in vita: conservare fiducia nella vita anche quando la vita sembra scivolare tra le dita, è segno vero di speranza e resurrezione.
Chi crede alla resurrezione può donare liberamente quello che ha perché conserva nel cuore l’intima convinzione che nulla gli sarà tolto ma che, anzi, molto altro gli sarà restituito. Chi invece si fa forte di quello che possiede, di quello di cui ha disponibilità, mezzi economici, relazioni, stato sociale, avrà sempre la paura di lasciare qualcosa e finirà per mettere a disposizione degli altri soltanto il superfluo. Maggiore è la paura di perdere, minore diventa la disponibilità a dare veramente quello che conta: ci si rifugia nel superfluo per mettere a tacere la coscienza. Si dimentica così che una vita spesa con fiducia è l’unico luogo che ci è davvero concesso per essere generativi.
Se però ci sentiamo troppo ricchi, rischiamo di sentirci anche troppo autosufficienti: questo è il vero rischio della ricchezza, quello di pensarsi autonomi, non bisognosi dell’altro, bastanti interamente a sé stessi: qui però nasce anche il rischio della mancanza di fiducia, quella mancanza che ti porta a vivere pieno di riserve nei confronti degli altri e del mondo.
Qui nasce la povertà di spirito che sta attanagliando i nostri giorni e che rende sempre più difficile la possibilità di un dono pieno di sé, quel dono che, nelle varie figure del vivere, dal matrimonio, alla genitorialità, alla cura della propria professione, alla dimensione del volontariato, solo per fare alcuni esempi, costituiscono il tesoro vero del tempio che è la nostra vita.
Come gettare tutto noi stessi nel tesoro per iniziare a vivere davvero? Riscoprendosi poveri, riscoprendo le nostre miserie e il nostro limite. Iniziando a valutare diversamente la nostra realtà personale a partire dal fatto che, proprio quando ci scopriamo piccoli e indifesi, diventiamo capaci di fidarci davvero, di mettere a disposizione le nostre due monetine senza tenere nulla da parte. Se, come la vedova, imparassimo a leggere la nostra miseria come l’occasione che abbiamo per smetterla di essere superficiali, di raccontarci che bastiamo a noi stessi, allora potremmo fare l’esperienza di tornare a fidarci davvero, perché non può esistere una esperienza veramente umana che non abbia alla sua base una qualche forma di fiducia vera e piena nell’altro.
Oggi sembra prevalere un modello di fiducia possibile a partire solo dalla forza: ci si fida solo di chi sembra potente e sicuro di sé. La vedova del vangelo ci insegna che la fiducia vera, quella che porta all’incontro con Dio, parte non dalla paura di perdere qualcosa, ma dal riconoscere la dignità della propria miseria e della propria debolezza come parte del tesoro comune al genere umano: queste le due monetine da cui ripartire ogni giorno.