Serva
Questa seconda domenica di Avvento cade nel giorno della solennità dell’Immacolata Concezione: la liturgia ci presenta il brano dell’Annunciazione (Lc 1,26-38), forse uno dei brani più letti e meditati nel corso dell’anno liturgico. Potrebbero essere tante le suggestioni a commento di questo brano così famoso, tanto da essere forse il più rappresentato, dopo la crocifissione, nell’iconografia cristiana. Ci soffermiamo, però, sulla parte finale del racconto, dove il dialogo tra Maria e l’angelo trova conclusione nella famosa affermazione della piena e totale disponibilità di Maria all’azione della parola creatrice di Dio.
Come spiegare la parola serva, oggi, in un contesto dove il ruolo della donna cerca una ridefinizione giusta e doverosa della propria dignità? Le tante manifestazioni dei giorni scorsi ci ricordano di un lavoro sociale ancora da compiere, dove la parità di genere non deve essere ricercata nell’uguaglianza che produce appiattimento, ma nella giusta valorizzazione delle differenze che portano al pieno riconoscimento del valore reciproco.
Nella tradizione biblica l’appellativo di servo, normalmente nell’accezione maschile, viene attribuito a chi realizza pienamente la volontà di Dio, ma non in maniera passiva, anzi, mettendo a disposizione tutte le proprie qualità, fino in fondo, fino al dono totale di sé.
Essere servi di Dio, ad esempio nell’accezione dei canti di Isaia, vuol dire esprimere il proprio assenso al progetto di chi desidera il bene dell’umanità, accettare un incarico che porta verità a tutte le nazioni, un incarico difficile che genera anche sofferenza ma che è segnato dalla realizzazione di un pieno rapporto di fiducia, un incarico che porta alla manifestazione del volto glorioso di Dio. Essere servi, allora, è il titolo onorifico più bello che si possa esprimere, quello che meglio definisce la realtà di chi si fa tramite della salvezza per l’intera umanità.
Proprio questo stupisce della risposta finale di Maria: il fatto che venga dopo aver ricevuto come rassicurazione da parte dell’angelo, non qualcosa che la riguarda direttamente, ma qualcosa che riguarda una sua parente. Maria offre il suo assenso, per nulla scontato, dopo aver riconosciuto la possibilità della realizzazione di un bene straordinario e impossibile nella vita di qualcun altro.
Quando riconosciamo il bene che Dio realizza nella vita degli altri, allora accettiamo perfino l’impossibile che si può realizzare in noi.
Maria non è la donna dell’impossibile perché crede ciecamente a qualcosa che non si sa spiegare e che non può essere spiegato, è la donna dell’impossibile perché, nella promessa dell’angelo, sa rileggere l’esperienza di salvezza del suo popolo e dentro a questa storia riconosce una promessa di vita buona e piena per sé e per gli altri.
Il turbamento iniziale e la domanda di Maria sui modi attraverso cui si realizzerà la volontà di Dio, non sono espressione di mancanza di fiducia, ma sono la modalità più seria per indagare la volontà di Dio, sono l’espressione di un vero discernimento che chiede di superare le resistenze che nascono dalla nostra fragilità: prendendo sul serio la propria umanità Maria è veramente all’altezza della proposta di Dio e per questo motivo può veramente sentirsi serva.
Non c’è niente di peggio, nella vita delle persone, che sentirsi inutili: sapere di non servire a nessuno rende le giornate invivibili. Dio chiede a Maria di potersi servire di lei per fare entrare la salvezza nella storia e, in lei, chiede anche a ciascuno di noi di farci servi, perché il maggior numero di persone possa incontrare questa salvezza nella propria storia e perché nessuno possa sentirsi inutile.
Abbiamo bisogno di riconoscerci tutti in Maria, uomini e donne, per riscoprire che attraverso l’essere servi gli uni degli altri si realizza una parità piena, vera e possibile: accettare la presenza di Dio nella propria vita crea sempre le condizioni per fare spazio in noi alla presenza dell’altro. Quando la realtà di Dio pare troppo ingombrante basta dire il proprio sì e accettare di scoprire tutta la dignità dell’essere servi.