Cosa dobbiamo fare?
La recente indagine sulle competenze degli adulti, realizzata nell’ambito di un programma internazionale dell’Ocse, segnala che l’Italia è al quartultimo posto in Europa nella capacità di comprensione di un testo scritto. In parallelo a questa notizia colpisce il fatto che Amazon abbia reso pubblica la lista delle richieste più frequenti rivolte al proprio assistente vocale, Alexa, dove a prevalere sono richieste sconcertanti e sconfortanti per la loro banalità, quando addirittura non esprimono una ignoranza di fondo davvero deprimente: chi è il presidente della Repubblica? Quanti soldi ha Elon Musk? Con chi è sposata Annalisa?
Difficile credere che un sistema di intelligenza artificiale possa implementare le proprie capacità a partire da queste domande, non impossibile pensare, in un futuro distopico, che l’intelligenza artificiale possa stancarsi di interagire con intelligenze umane così superficiali. Perfino il motivo di fondo per cui è stato creato un assistente vocale, per quanto discutibile, viene del tutto disatteso: alla gente non sembrano interessare i vantaggi pratici derivanti dalla possibilità di connettere le tecnologie domestiche e avere una casa a misura di comando vocale.
La notizia potrebbe apparire drammatica e mettere in luce la fatica complessiva di un mondo adulto sempre meno in grado di adottare gli strumenti minimi per leggere la realtà, un mondo che pare rifugiarsi nel superficiale per evitare di assumere la fatica del vivere.
Alla luce del vangelo della terza domenica di Avvento, anno C (Lc 3,10-18), vorrei provare a dare una lettura più ottimistica della notizia appena riportata: ci soccorre la figura di Giovanni Battista. Le folle lo vengono a cercare per fargli una domanda, un’unica domanda: «cosa dobbiamo fare?».
Nei momenti di smarrimento, di incertezza, ma anche di attesa, questa domanda è forse una delle più naturali, una di quelle che affiora con immediatezza nell’animo umano. Soprattutto le persone più esposte all’incertezza, le più umili, quelle costantemente affaccendate con i bisogni essenziali, sentono la necessità di porre questa domanda: così nel vangelo troviamo soldati, pubblicani, popolani, accomunati dall’unica richiesta di avere un chiarimento sul da farsi in attesa dell’avvento del Messia. Tutti alla ricerca di qualcuno a cui consegnare il peso di una domanda che non è soltanto pratica, ma anche fortemente simbolica ed esistenziale: cosa dobbiamo fare per essere pronti all’incontro decisivo della vita?
Commuove vedere una folla intera indirizzarsi verso il Battista con l’idea che a lui si possa rivolgere una domanda così importante. Commuove sentire l’umanità ancora capace di rivolgere, prima di tutto a sé stessa, domande così fondamentali e commuove sapere che sia possibile riconoscere persone giuste a cui rivolgere queste domande, giuste perché credibili.
Giovanni con grande tenerezza, lui solitamente – e giustamente – ritenuto austero e severo, risponde rimandando tutti alla propria quotidianità, alla concretezza di un bene già realizzabile nel vissuto di ogni giorno, quello che ciascuno di noi ha già a disposizione, in famiglia, nel lavoro, nelle relazioni. Nei momenti di confusione e incertezza è sempre bene trovare qualcuno che ci riporti a riprendere in mano la nostra vita, quello che abbiamo sotto agli occhi ma che non riconosciamo più.
Ci fa bene sentire parole vere di speranza e non frasi retoriche e vuote: ci fa bene avere a disposizione chi ci ricorda che quello che dobbiamo fare è già nelle nostre potenzialità e che dobbiamo passare da qui, da questo inevitabile pertugio della nostra vita se vogliamo gustare il frumento buono che il Signore sta preparando per ciascuno, il frumento che Gesù, il vero Messia, è venuto a separare dalla paglia.
Mi piace pensare, allora, che nessuno abbia davvero voglia di rivolgere domande fondamentali per la vita a un assistente vocale, per quanto intelligente possa essere. Mi piace pensare che per ingannare il tempo i più si rifugino in domande banali e superficiali in attesa di incontrare qualcuno a cui consegnare quelle vere che premono nel cuore e che fanno davvero la differenza.
Voglio sperare che si tratti fondamentalmente di attendere l’incontro giusto, l’incontro con quella persona capace di risvegliare in noi la voglia di bene che la Parola di Dio ci consegna ogni giorno in quei testi che alle volte sembrano così difficili da interpretare, ma che in realtà chiedono soltanto di essere accolti per iniziare una relazione vitale con ciascuno di noi.