L’ultima scheggia di luce

L’ultima scheggia di luce

Il popolo è in attesa e tutti, dice il Vangelo di Luca di questa Festa del Battesimo del Signore (Lc 3,15-16.21-22), si domandano, circa l’identità di Giovanni, se non possa essere lui il Cristo. Giovanni risponde a tutti parlando di uno che verrà dopo di lui a portare un battesimo in Spirito Santo e fuoco e non fatto di semplice acqua. Qualcuno più forte di lui, qualcuno a cui lui non è neppure degno di slegare i lacci dei sandali. A questo punto ci aspetteremmo un eroe, una figura straordinaria, uno capace addirittura di dominare gli elementi, l’acqua, il fuoco, l’aria; qualcuno capace di schiacciare la terra sotto i suoi piedi. Probabilmente anche Giovanni era affascinato da queste stesse aspettative, quelle che dominano anche la nostra vita: la speranza che arrivi l’uomo forte a sistemare le cose, l’uomo investito dalla potenza di Dio che, in suo nome, metta un po’ di ordine e ristabilisca la giustizia. In fondo il battesimo che amministra Giovanni va proprio in questa direzione: riconoscersi deboli e peccatori per ristabilire la giustizia delle cose e dei ruoli, rispetto a Dio e rispetto agli altri. Un invito a ripartire tutti da zero in attesa che qualcuno venga a indicare la via giusta da intraprendere: sarebbe già tanto se anche oggi maturassimo la stessa consapevolezza, cioè quella di riconoscerci tutti uguali nella nostra debolezza.

In questi giorni mi colpiscono le immagini provenienti da Los Angeles, le impressionanti immagini del fuoco divoratore che oltre a mietere morte, tocca e distrugge ogni cosa, perfino le ville dei più ricchi, nessuno escluso. In un attimo anche chi si è sempre sentito al sicuro si sperimenta fragile e povero, del tutto inerme nei confronti di quello che non può controllare. Non sarà proprio questa la condizione che accomuna davvero il genere umano, non dovremo ripartire proprio da qui per sentire che è necessario avere pietà gli uni degli altri, proprio perché tutti fragili e bisognosi di aiuto?

Il significato del mettersi in fila per accogliere il battesimo predicato da Giovanni, il fatto che proprio tutti gli appartenenti al popolo accettino di chinare il capo davanti al profeta, dice di un senso di appartenenza che va al di là dei ruoli e della condizione sociale, un senso di appartenenza che va alla radice del sentirsi uomini e donne fragili. Sarebbe bello che questo anno giubilare ci aiutasse proprio a riscoprire un’appartenenza comune a partire da qui, dalla nostra fragilità.

Gesù non risponde ai criteri di un’attesa che vorrebbe eliminare la fragilità nel modo più veloce possibile: Gesù prima di presentarsi al mondo si mette in fila insieme ai fragili della terra. Accetta di sottoporsi al battesimo di Giovanni per dire a tutti che la sua è un’umanità vera, segnata dal limite della corporeità.

Il suo ritirarsi in preghiera diventa per noi l’indicazione di come convertire le nostre aspettative: cerca nel tuo cuore di parlare con Dio, crea le condizioni perché anche tu possa sentire la voce del Padre che parla di un’umanità benedetta perché assunta dal Figlio, l’amato. Non arriverà nessun uomo forte a salvarci semplicemente perché non abbiamo bisogno di uomini forti: abbiamo bisogno del Figlio amato e dell’amore del Padre per riconoscere la nostra fragilità come la condizione necessaria per lasciare spazio alla sua azione e riconoscere gli altri come fratelli e sorelle.

Il Padre si compiace di quello che Gesù sta facendo, lo conferma nella sua decisione di iniziare la sua missione proprio da qui: l’uomo quando abita la sua fragilità e sente che Dio per primo la ama, si apre al cambiamento, continua a essere fragile ma smette di essere debole, lascia entrare quello Spirito che per essere descritto non può altro che essere paragonato a una colomba, da sempre segno di pace. Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci risolva i problemi, abbiamo bisogno soltanto di fare come Gesù e di lasciare che il Padre attraverso lo Spirito parli ai nostri cuori per dirci che siamo amati e possiamo vivere in pace.

Non abbiamo paura di mostrarci fragili insieme agli altri, non c’è nulla da nascondere in quella che è la realtà della condizione umana: se Dio ha scelto di farsi bambino, questa riflessione che cade proprio al termine del tempo di Natale non può altro che essere l’ultima grande scheggia di luce che dalla mangiatoia di Betlemme arriva fino alle rive del Giordano per invadere la nostra vita.

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