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Anziani che desiderano
Festa della presentazione di Gesù al tempio, festa che tradizionalmente è legata al ricordo della vita consacrata: in questa domenica siamo invitati a pregare per tutti quelli che vivono la scelta di una donazione al Signore nella forma della consacrazione specifica in qualche ordine religioso o in altre forme di donazione rese sempre possibili dalla consapevolezza che l’amore di Dio ci precede e ci accompagna. Proprio le figure di Simeone e Anna, nel vangelo di questa festa (Lc 2,22-40), diventano il simbolo di una vita interamente spesa nel cercare di creare le condizioni perché la presenza del Signore sia evidente e manifesta agli occhi del mondo. In fondo la vita consacrata ha proprio lo scopo, se così si può dire, di essere trasparenza della presenza di Dio, un rimando costante, più attraverso quello che manca e quello che non si è ancora, a una pienezza che l’umanità non è in grado di darsi da sola.
Bellissima, allora, la figura di questi due anziani fragili, per noi abituati a valutare sempre tutto sulla base dell’efficienza, che continuano a coltivare il desiderio dell’incontro con disponibilità e apertura: figure apparentemente marginali che hanno il ruolo fondamentale di testimoniare al mondo in cosa consista la pienezza e la pace che tutti cercano.
Simeone innalza una preghiera piena di fiducia e abbandono che offre il senso di un compimento reso possibile soltanto dall’incontro con un bambino che è dato come garanzia di vita. L’abbraccio di Simeone, come l’entusiasmo di Anna, racchiudono tutto il senso della vita che, rigenerandosi continuamente, si muove verso una pienezza fatta di amore e relazioni. Simeone si sente libero di invocare la morte, come farà san Francesco chiamandola sorella, perché ha finalmente capito a chi ha affidato tutta la sua vita e a chi sta lasciando il mondo che anche lui, a sua volta ha ricevuto da altri. In questo quadro unico che il vangelo ci offre abbiamo l’affermazione chiara ed esplicita che la pace del cuore a cui tutti aspiriamo è possibile in forma piena nell’incontro con Dio, ma che questo incontro non avviene per caso, va cercato, desiderato e reso possibile con la nostra disponibilità. In un quadro generale dove la vita viene sempre meno vista come vocazione, non stupisce di assistere al crollo del numero di coloro che fanno una scelta di consacrazione: nelle nostre comunità è sempre più rara la presenza dei preti, ma ancora di più quella dei consacrati e delle consacrate. Si assite quasi con spirito di rassegnazione al venir meno della presenza di chi per anni ha gestito scuole, asili, assitenze di vario genere, servizi caritativi di ogni tipo, ma soprattutto al venir meno di una presenza umana e cordiale nell’accompagnare i passaggi della vita, rendendo ai più l’esercizio della fede qualcosa di quotidiano e praticabile anche al di fuori dei contesti liturgici e più istituzionali. Senza la vita consacrata la chiesa è più povera, non di strutture e di servizi, ma di umanità.
La figura dei due anziani del vangelo, però, ci consegna un messaggio di speranza che va al di là del contingente: alla vita consacrata, per essere significativa, non servono le strutture e neppure i grandi numeri. Serve soltanto la capacità di coltivare la fiducia nel fatto che il vangelo è segno di contraddizione che svela la verità dei cuori. Serve la fiducia nella possibilità di poter continuare a incidere nella storia e nella vita della società non perché grandi e potenti, ma proprio perché fragili e trasparenti. A volte l’impressione è più quella di essere insignificanti, ma la nostra insignificanza nasce dal fatto di confidare solo sulle nostre forze e di rimanere inevitabilmente delusi, vedendole continuamente ridursi. Nella prospettiva del vangelo si diventa significativi quando si accetta la logica di essere pesati e valutati da parole che mettono in luce tutte le nostre contraddizioni, senza sentirsi per questo giudicati, ma soltanto guariti. C’è un dolore da affrontare perché i nostri cuori guariscano dalle loro ferite e ritrovino la pace di cui hanno bisogno: Gesù, consegnato nelle nostre braccia, ci testimonia che questo cammino di guarigione e verità è possibile. In fondo sarebbe bello che la vita consacrata tornasse a essere, prima di ogni altra cosa, realtà che esprime fiducia in questa possibile guarigione, cercando di offrirsi al mondo come trasparenza di un desiderio che, in ogni stagione della vita, può essere risanato dal proprio egoismo e restituito alla sua funzione primaria e originale: quella di essere un ponte tra la povertà dell’uomo e la grandezza di Dio.
Perchè avvenga questo servono grandi opere e numeri sterminati o persone di ogni età sempre pronte a dire con gioia: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola…»?